Ci si preoccupa giustamente per il futuro delle banche, ma nessuno esulta per il regalo – consegnato indirettamente (e forse inconsapevolmente) – ai cittadini o imprese, che finora (e da ora) non hanno potuto restituire i soldi ricevuti in prestito dalle banche. Le quali, però, hanno perpetrato abusi (usura, anatocismo e altre irregolarità) nei loro confronti.

La lettera inviata, infatti, dalla Bce a Monte Paschi Siena (e a tante altre banche) ha imposto agli istituti di credito di aumentare gli accantonamenti sui crediti problematici, fino a svalutarli totalmente in un arco pluriennale predefinito (otto anni). In tal modo i bilanci già disastrati delle banche italiane sarebbero messi a dura prova sul piano della consistenza patrimoniale, necessitando quindi – secondo una stima di Mediobanca Securities – di ulteriori 15 miliardi di capitale!

Ma possiamo per una volta, invece, fregarcene delle banche e sostenere che tale misura, se tecnicamente seguita da professionisti esperti del settore, può risultare determinante per risolvere (anche in questo caso forse inconsapevolmente) il problema degli imprenditori e dei cittadini – che, sebbene vessati dalla banche, vogliono comunque arrivare a una transazione per il rimborso, ripulirsi delle macchie bloccanti presenti nelle banche dati (Centrale Rischi, Crif, Experian, ecc) e ripartire con la possibilità di accedere al mercato del credito?

E inoltre, diciamolo con estrema trasparenza senza aver paura di vederci scomunicare dalla comunità dei buonisti formali, mai come in questo caso la tanto vituperata lentezza della nostra giustizia civile per arrivare a una sentenza definitiva (mediamente sette anni) è manna caduta dal cielo per chi avvia un’azione giudiziaria contro la banca per vedersi riconosciuto l’indebito percepito e fare una transazione.

Questo combinato disposto (magistratura lenta e disposizioni della Bce) ci permette di fornire ai tanti debitori qualche consiglio utile e di carattere generale su come affrontare una situazione di criticità, soprattutto in relazione a quelle condizioni limite in cui, ignari delle vessazioni subite, ci si sente come stritolati dalle spire di un sistema che non lascia respiro e si teme di “perdere tutto”.

Alla banca si possono (e si devono) contestare tutte le probabili irregolarità formali. Nell’immaginario collettivo si è ormai consolidata la consapevolezza che gli abusi delle banche sono l’usura e l’anatocismo, ma nella contrattualistica relativa al finanziamento concesso sono presenti tante altre irregolarità. Che significa “contestare”? Innanzitutto occorre fare una perizia econometrica per accertarsi che la banca abbia degli scheletri nell’armadio, ma occhio ai truffatori in giro.

Dopodiché sarebbe opportuno per il debitore, benché le banche siano molto lente nell’azione di recupero, non attendere troppo le altrui mosse, ma partire in anticipo e convenire prontamente la banca in giudizio per ottenere l’accertamento negativo di una parte del credito vantato dalla banca. L’azione giudiziaria in ogni caso congela qualsiasi tipo di atto restrittivo della banca, che ha tutto l’interesse a non allungare troppo la durata del contenzioso per non azzerare completamente il valore del suo credito. A questo punto l’esperienza maturata in questo settore mi consente di affermare che la percentuale di successo per una transazione mooolto vantaggiosa per il debitore è quasi del 100%!

Cerchiamo di fare chiarezza con un esempio: un imprenditore ha ricevuto un prestito di 100 denari da una banca, ne ha restituito solo una parte (10 denari) e ora non riesce più a rimborsare quanto ancora dovuto (90 denari). Inizia un contenzioso con la banca, che da quel momento ha otto anni di tempo per portare a casa quanto più possibile. Nel frattempo, in base a una perizia econometrica sui rapporti di finanziamento, il debitore si accorge di essere stato abusato e avvia un’azione giudiziale per accertamento negativo del debito.

A questo punto, indipendentemente dai tempi e dall’esito della vertenza, la banca ha l’obbligo di iscrivere ogni anno in bilancio il “costo dell’accantonamento”, e cioè della previsione di perdita, che potrebbe essere – a puro titolo di esempio, perché le percentuali per i primi anni sono molto più alte – il 15% di 90 (quanto deve ancora restituire). Cioè circa 14 denari all’anno. Quindi al termine di ogni anno la banca, visto che ha già spesato quella perdita, si accontenterebbe anche di 76 denari dopo il primo anno, 62 denari dopo il secondo anno, 48 denari dopo il terzo anno, solo 34 denari dopo il quarto anno e cosi via, fino ad azzerare il valore dell’importo recuperabile.

Per non lasciarsi coinvolgere in questo stillicidio di ulteriori costi (legali, professionali e di immagine), la banca avrebbe (e infatti ormai sono tutte costrette a farlo) la possibilità di offrire il credito a una società di recupero, che mediamente lo compra a un prezzo pari all’11-12% del credito e poi propone al debitore una transazione a “saldo e stralcio” tra il 25% e il 40% della debitoria.

In entrambi i casi il debitore, sempre che abbia portato in giudizio la banca e benefici quindi dei tempi sudamericani della nostra giustizia, può aspettare il “congruo” tempo per avviare una transazione vantaggiosa. In soldoni, se al termine del quarto anno il debitore offre 35 denari alla banca o alla società di recupero, queste ultime accettano la proposta. Esultate, debitori vessati, ma muovetevi!

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