“Non è un disco per tutti, soprattutto in questa società dove l’ultimo flirt della showgirl di turno, i deliri dei politici, i video dei blogger che giocano ai videogiochi o si cagano addosso tolgono spazio e interesse alla complessità, alla ricerca, alla sensibilità”. Tommaso Primo parla del suo secondo album, 3103 (Arealive – Fullheads / Warner). Un disco che racconta un futuro immaginario in cui l’uomo è costretto a lasciare la Terra.

“Il pianeta – continua il cantante – fra disastri ambientali e guerre termonucleari è diventato ormai inadatto alla sopravvivenza: si parte verso l’ignoto, ma prima di salire sull’astronave ricordi e sentimenti affollano le menti di chi sta per lasciare per sempre la propria casa”. Il giovane cantautore napoletano è una delle voci più belle e delle penne più interessanti della nuova scena partenopea. Ha il coraggio di sperimentare e spingersi oltre, il coraggio di chi è alla ricerca continua di un’identità.

3103 è un caleidoscopio di suoni, colori e concetti in cui si trova l’eco di tutto il Neapolitan power a partire dalla bellissima Cassiopea, che su atmosfere danieliane racconta l’esodo dei terrestri alla ricerca di nuovi pianeti sulle ali della “melodia fantasy”. L’album mescola il tropicalismo brasiliano e il soul americano calandolo nel pentolone del sound napoletano, un big bang, come l’omonima canzone, da dove fuoriescono supereroi e mostri, per ricordarci che invertire la rotta non è solo possibile, ma necessario.

Com’è nato questo concept album?

Sono sempre stato un sostenitore dell’immaginario futuristico/spaziale, ma la scintilla che ha dato vita al tutto, il momento esatto in cui ho detto “Si, lo faccio”, è stato dopo aver letto la notizia dell’allarme dato dalle Nazioni Unite, qualche anno fa, dove si comunicava all’umanità che a marzo 2016 si stavano già utilizzando le risorse alimentari del 2017 e che con il passare degli anni, se non si fosse messo un freno al consumismo scellerato di cui l’essere umano è colpevole, la forbice sarebbe addirittura aumentata. Ho provato dunque a immaginare il futuro, descrivendone un periodo terrestre e uno astrale con Cassiopea, la canzone che descrive il viaggio, a fare da spartiacque.

Un album fantascientifico. Qual è il tuo background?

Dal tropicalismo a Dragonball, dai supereroi alla margherita con bufala, dalle classiche napoletane alle sigle dei cartoni animati giapponesi, passando per gli Oliver Onions, Odissea nello spazio, Pino Daniele e il realismo magico. Schizofrenia culturale, in un album dove ogni brano appartiene a un genere diverso, un po’ come gridare al mondo: “la vostra monotonia ha rotto le palle”!

Cosa pensi della nuova scena cantautorale napoletana di cui fa parte?

È solo una delle numerose scene che nascono in città, di sicuro è quella in cui mi ci trovo meglio. Tutto quello che si è conquistata lo ha fatto con le proprie forze, senza l’aiuto di investimenti milionari e senza fare da colonna sonora a serie televisive. È la voce di una parte di popolo, forse piccola ma quella che più mi piace, viva e intelligente, umile e laboriosa. Si fa spazio fra mille mortificazioni e a volte inciampa nei marchingegni della burocrazia locale, è spinta poco ma ha la fortuna di avere un pubblico resistente che le permette di vivere di musica ed è già tanto.

Cosa manca per fare il grande salto?

Investimenti economici e riflettori accesi, spazi dove potersi esibire visto che ce ne sono sempre meno, confronto e maggiore diffusione. Un album che in chiave fantasy tratta diversi temi sociali.

Cosa ti spinge a trattare questi temi?

A volte il fantasy racconta la realtà mostrandone sfumature nascoste: evidenzia le supposizioni, per esempio, e mette in evidenza una morale. Cosa mi spinge a trattare temi sociali? La necessità! Viviamo nell’epoca dell’osannazione del nulla, dell’imbambolimento delle masse, dei cervelli spenti e del disprezzo degli ultimi. Stiamo subendo un processo d’imposizione del pensiero e mettiamo il successo individuale sopra ogni altra cosa (“Ego ha travolto Ecos, molesta idea di felicità”) perché consideriamo il riscatto materiale e personale l’unica fonte di benessere, annullando ogni minimo residuo di idea di comunità. Ci sono marche ovunque, anche dove non dovrebbero esserci, e stiamo consegnando il mondo nelle mani di pochi che prenderanno scelte al posto nostro. Non è assolutamente il tempo per stare in silenzio, bisogna dire la propria con coraggio e cercare assolutamente il confronto e il dialogo con il prossimo, dovremmo essere più umani e discutere di presente e futuro. “Restare umani”, diceva Vittorio Arrigoni. Che invito meraviglioso.

Chi è il superman napoletano?

La leggenda del Superman napoletano è l’unico brano del disco ambientato a Napoli. È stato scritto qualche anno fa ed è stato decisamente premonitore sull’attuale situazione politica e sociale italiana, tanto da annusare la crescita esponenziale della Lega Nord quando il Carroccio era solo al 4% delle preferenze. È una canzone che prende in giro i cliché – vecchi e nuovi, reali e irreali – che “affliggono” la nostra città, combattuti da un supereroe dagli abiti raccattati e con un fisico da sollevatore di forchette. C’è un significato profondo però fra i suoi versi di matrice ironica, ovvero l’elogio all’uomo comune che in questa Metropolis (per citare il celebre fumetto), dove il lato oscuro e il lato buono della forza sono perennemente in conflitto, cerca di farsi strada sfuggendo ai tranelli nascosti dietro ogni angolo, con volontà, intelligenza, dedizione e lealtà.

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