“Da quando ci siamo trasferiti in Inghilterra sono passati quattro anni, non sempre facili, ma tutti carichi di vita”. Silvia e Marco Forgione sono sposati da 25 anni e hanno due figli, Lisa (28) e Alberto (24). Fino al 2013 si svegliavano tutti e quattro a Milano, dove avevano una bella casa, una situazione economica stabile e gli affetti più cari. Ma quando i due ragazzi sono emigrati in Inghilterra, i genitori hanno deciso di raggiungerli, abbandonando tante certezze e cinquant’anni di ricordi. “Io e mio marito – dice Silvia – dovevamo scegliere se rimanere o vivere per il futuro seguendo i nostri figli”. Una scelta che è stata difficile ma che, dice Marco, “ci fa sentire come se vivessimo due vite in una”.

“A Milano ho fatto fatica anche a trovare un tirocinio non retribuito” – La prima a partire è stata Lisa, psicologa forense nel carcere di massima sicurezza di Newport, sull’Isola di Wight. Classe 1990, ha capito che il suo futuro non sarebbe stato in Italia mentre studiava psicologia alla Cattolica. “Fin dal primo giorno i prof ci ripetevano che non c’era lavoro e dovevamo inventarci qualcosa”. Allora ha seguito un corso di inglese a Londra e fatto domanda per il master in Psicologia forense all’Università di Portsmouth. “A Milano ho fatto fatica anche a trovare un tirocinio non retribuito, prerequisito per accedere al master in Uk. In Italia puoi diventare psicologo senza aver mai visto un paziente, il che significa che puoi fare danni molto seri”. Se confronta il sistema di detenzione inglese con quello italiano non può fare a meno di notare che siamo indietro anni luce: “Qui tutto è evidence based. Gli inglesi misurano tutto e studiando il tasso di recidiva si sono resi conto che è meglio riabilitare i detenuti che lasciarli vent’anni in galera. Lo Stato qui è furbo, noi non impariamo dall’esperienza”. Oggi Lisa sta chiedendo la cittadinanza britannica, ha appena preso casa a Southampton e tutte le mattine va al lavoro in hovercraft sull’isola di Wight. “Quando mi hanno presa per un dottorato professionale in Psicologia forense mi è sembrato di aver vinto la lotteria: ho un ottimo stipendio, più alto di uno psicologo qualificato in Italia, e posso continuare a formarmi all’Università”.

Lisa: “Il mio stipendio più alto di uno psicologo qualificato in Italia”

“Temevo di non farcela” – La sua è stata la prima tappa di un esodo familiare che ha coinvolto in primis il fratello Alberto, oggi videogame developer. “Quando ho visto le attrezzature d’avanguardia dell’Università di Portsmouth mi sono sentito come un bambino in un mondo incantato”. Da sempre appassionato di informatica, Alberto frequentava un Istituto tecnico di Milano, quando nel 2013 ha fatto visita a Lisa, che stava finendo il primo anno di master, e ha deciso di frequentare anche lui a Portsmouth un corso di laurea in Computer Games Technology. “Temevo di fare il passo più lungo della gamba – confessa -. I miei voti non erano alti e avevo paura di non farcela”. E invece le cose sono andate molto diversamente: si è laureato col massimo dei voti e una tesi premiata come Best Game Project 2017. Adesso lavora come aiuto programmatore in Inghilterra, dove “ci sono molte più compagnie di videogiochi che in Italia”. Tornare non è nei programmi, perlomeno senza una prospettiva nell’industria dei videogame. “Spesso mi capita di pensare che sarebbe stato più comodo rimanere ancorato al mio paese senza abbandonare mai la comfort zone. Ma non c’è esperienza che mi abbia mai fatto sentire così vivo. E se non fosse stato per il supporto ricevuto dai miei non so dove sarei”.

“C’erano tanti aspetti della nostra vita in Italia che non sopportavamo più” – La famiglia Forgione si è ricompattata a Portsmouth quattro anni fa, dopo che Marco e Silvia hanno messo da parte le loro certezze per seguire i figli. Avevano entrambi una carriera consolidata: lei contabile una società informatica, lui socio di una software house e consulente It di grande esperienza. Per troppo tempo, però, Silvia aveva condiviso le paure della figlia Lisa sul futuro: “Durante la laurea triennale, ogni giorno era sempre più chiaro che il futuro sarebbe stato cubo. Così quando mi ha prospettato l’idea di frequentare il master a Portsmouth, il mio istinto mi aveva detto che sarebbe stato un viaggio di sola andata”. Un paio di anni dopo papà e mamma l’hanno raggiunta. “C’erano così tanti aspetti della nostra vita in Italia – racconta Marco – che non riuscivamo più a sopportare”. Le incognite erano tante, dal mollare il lavoro al ripartire da zero. “Una decisione del genere – dice Marco  -, oltre a tutti i problemi di coscienza, comporta anche difficoltà pratiche. Vendere la casa è stato difficilissimo e abbiamo accettato un’offerta più bassa. Traslocare tutto quello che avevamo accumulato in 25 anni di vita insieme era molto caro: abbiamo selezionato quello che volevamo tenere e venduto il resto”.

Vendere la casa è stato difficilissimo, così come lasciare i nostri affetti

Il primo anno di Marco e Silvia? Devastante. “Dopo esserci spesi quasi tutto il valore della nostra casa in un franchising italiano di pasta e piadina che non ha funzionato, ci siamo trovati a più di 50 anni a fare i conti con le briciole di vita che ci erano rimaste”. Hanno comprato casa “e – racconta Silvia – ho cercato disperatamente un lavoro. Ho ricominciato vendendo biglietti e guide al Museo navale di Portsmouth. Sono stata fortunata perché parlo anche il francese”. Con quel lavoro, per i primi tempi Silvia ha mantenuto tutta la famiglia. E all’epoca l’inglese di Marco era troppo incerto per trovare lavoro. E così sono ripartiti con la gavetta: “Il momento peggiore è stato quando mi sono trovata una line manager poco più vecchia di mia figlia, arrogante e fiera di umiliarmi. Mi aveva detto di avere votato per la Brexit a causa di ‘gente come noi’”. Ma ricominciare non è stato facile. “Avevo lasciato tante certezze guadagnate a suon di sacrifici negli anni – dice Silvia -. E i miei genitori anziani, tanti amici, ottimi colleghi, una bella casa”. Marco ha continuato a cercare lavoro per mesi, continuando a studiare inglese. “Dopo un anno di application, colloqui e scuola di inglese, ho trovato un lavoro pari a quello lasciato in Italia. Non penso che il contrario sarebbe stato possibile”. Quello che ha sorpreso Marco è la meritocrazia. E dopo diverse batoste e tanti lavori duri, anche lei ha ritrovato la sua posizione come contabile. “Il lavoro mi piace e sono circondata da persone che apprezzano la mia identità e non mi trattano come un persona venuta qui a rubare i loro posti di lavoro”. Il bilancio del trasferimento collettivo? “Siamo molto fortunati – dice Silvia -. Giorno dopo giorno vogliamo dimostrare di valere. Tutto bello e affascinante ma serve molta flessibilità”.

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