I 6,1 miliardi che nel 2019 andranno a finanziare il reddito di cittadinanza spingeranno il pil di meno di 0,2 decimi di punto. Ma a regime la misura potrebbe dare al governo oltre 12 miliardi di spazio fiscale aggiuntivo, vale a dire maggior deficit non soggetto ai paletti della Commissione europea. Le previsioni sull’impatto macroeconomico sono nero su bianco nella relazione tecnica al “decretone” varato giovedì dal consiglio dei ministri. Il margine di deficit aggiuntivo stimato nel documento si aprirebbe grazie a un meccanismo contabile da tempo teorizzato da Pasquale Tridico, docente di Politica economica a Roma Tre e coordinatore della squadra dei consiglieri economici del ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Alla base c’è il fatto che l’incentivo a iscriversi ai centri per l’impiego dovrebbe portare gli inattivi a ingrossare le file dei disoccupati. E questo farebbe apparire l’economia italiana in maggior difficoltà, dando al governo più spazio di manovra.
Impatto di 0,1% sul pil, un altro 0,07% viene dagli investimenti nei Cpi – L’impatto sulla crescita è stimato utilizzando il modello elaborato da Istat, stando al quale il moltiplicatore dei trasferimenti dallo Stato alle famiglie è di 0,2 il primo anno, 0,4 il secondo e 0,5 il terzo ma raggiunge il valore di 0,3 già il primo anno “nel caso in cui si consideri l’impatto del reddito di cittadinanza direttamente come uno shock positivo sui consumi delle famiglie”. Con questa premessa l’effetto positivo sul pil reale 2019 è calcolato in 1,8 miliardi, lo 0,11% del pil. A questo la relazione tecnica aggiunge però un impatto aggiuntivo di ben 1,2 miliardi, lo 0,07% del pil, che dovrebbe derivare dal miliardo destinato ai centri per l’impiego attraverso gli “effetti positivi sull’occupabilità della forza lavoro”. In questo caso dunque si stima un moltiplicatore di 1,2. L’effetto complessivo sul pil ammonta a poco più di 3 miliardi, pari allo 0,18% del pil.
Gli effetti sulla crescita – Gli effetti sulla crescita potenziale e quindi sul disavanzo sono invece calcolati partendo dal presupposto che il reddito incentiverà chi oggi non cerca più un’occupazione perché scoraggiato a iscriversi ai centri per l’impiego. Di conseguenza aumenterà il numero dei potenziali lavoratori, che torneranno a essere ufficialmente conteggiati come disoccupati. Questo aumenterà la stima del pil potenziale – quello che l’economia potrebbe mettere a segno se quella disoccupazione venisse riassorbita – e quindi il cosiddetto output gap, cioè la differenza tra pil reale e potenziale. E l’allargarsi del divario, secondo il documento, consentirà di spendere di più in deficit senza far salire il rapporto tra deficit strutturale e pil, quello a cui guarda Bruxelles per valutare la correzione da chiedere ai Paesi.
La relazione tecnica, che riprende passo a passo le teorie più volte esposte da Tridico, si basa sui dati del 2017, quando il pil potenziale italiano secondo la Commissione si è assestato a 1.605,43 miliardi a fronte di un pil effettivo di 1.595,9 miliardi con un output gap di -0,59%. Il che “ha permesso di realizzare una correzione di 5,25 miliardi di euro al saldo nominale di bilancio”. Ma cosa sarebbe successo se fosse stato in vigore il reddito di cittadinanza? “Qualora fossero stati reinseriti nel mercato del lavoro un milione di individui – ipotesi non irrealistica dato che le forze di lavoro potenzialmente occupabili (o inattivi “scoraggiati”) erano 3 milioni e 131mila secondo Istat nel 2017 – il tasso di partecipazione sarebbe stato superiore di due punti e mezzo e avrebbe contribuito ad aumentare la stima del pil potenziale di 23 miliardi di euro.
Il relativo output gap registrato sarebbe stato pari a -1,98: dal maggiore margine di deficit strutturale concesso sarebbe derivata una correzione al saldo nominale di bilancio di circa 17,5 miliardi di euro, ovvero uno spazio fiscale aggiuntivo di oltre 12 miliardi” utilizzabile senza rischiare sanzioni. Va detto che nella Nota di aggiornamento al Def il governo ha stimato l’output gap 2019 proprio a -1,9%. Al contrario la Commissione nelle sue previsioni di autunno del 2018 ha ritenuto già chiuso il gap attribuendogli un valore positivo di 0,3 punti: l’economia italiana avrebbe dunque già recuperato pienamente, raggiungendo e superando il proprio potenziale.
La relazione cita la Bundesbank – Nel lungo periodo ovviamente il successo di una strategia fondata sull’aumento del deficit dipende dalla capacità di riassorbire i disoccupati. La relazione ricorda che “gli incentivi per le imprese definiti all’articolo 8 aumentano la probabilità di riassorbimento dei beneficiari del programma all’interno della forza lavoro”. A supporto delle previsioni si citano “precedenti esperienze di politiche attive praticate in Paesi Ue come la Germania” che mostrano come “l’attivazione permanente di categorie di lavoratori precedentemente estranei alla ricerca attiva di lavoro abbia effetti sul tasso di partecipazione tali da produrre effetti sulla crescita potenziale”. Infatti secondo le stime della Bundesbank “uno scenario di immigrazione elevata nel periodo 2016-2020 può portare ad un miglioramento della crescita potenziale dell’1,3% (rispetto ad un miglioramento dell’1,2% in caso di minore immigrazione) e dell’1% nel periodo 2021-2025 (rispetto ad un miglioramento dello 0,7% nel caso di minore immigrazione)”.