C'è anche la storia dei documenti che sarebbero modificati dopo la morte del geometra romano tra gli atti depositati dalla procura al processo bis in corso a Roma. E pure quella del registro del fotosegnalamento sbianchetttato: i militari se ne accorserò già nel 2015. La notte in cui il geometra passò alla caserma Casilina - dove per l'accusa fu pestato - in quel diario era annotato solo il nome di Zoran Misic
Due annotazioni di servizio: in una c’era scritto che “Stefano Cucchi era in stato di escandescenza“. Nell’altra, che “durante l’accompagnamento, non lamentava nessun malore né faceva alcuna rimostranza in merito“. La prima per il maresciallo Roberto Mandolini “non andava bene”: chiese di scrivere la seconda. Anzi: ne dettò il contenuto al maresciallo Davide Antonio Speranza.
C’è anche la storia dei documenti modificati dopo la morte del geometra romano tra gli atti depositati dalla procura al processo bis in corso a Roma. E pure quella del registro del fotosegnalamento cancellato col bianchetto: già nel 2015 i militari si accorsero che qualcosa in quel documento non andava. La notte in cui Cucchi passò alla caserma Casilina – dove per l’accusa è stato pestato – in quel diario era annotato solo il nome di Zoran Misic. Un’anomalia evidente ma nessuno fece nulla. Adesso, però, quei documenti e i verbali dei testimoni sono stati depositati dal pm Giovanni Musarò agli atti del procedimento a cinque carabinieri: sono Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di omicidio preterintenzionale, e poi Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi, che rispondono di calunnia e falso.
La prima annotazione: “Cucchi in escandescenza” – Parallelamente al processo, la procura continua a indagare sui depistaggi che vennero messi in atto per coprire le prove sul pestaggio di Cucchi. La storia della doppia nota di servizio s’inquadra in questo scenario. A raccontarla è il maresciallo Antonio Speranza, che nel 2009 lavorava alla stazione del carabinieri del Quadraro. “Fui contattato telefonicamente dal maresciallo Mandolini, il quale fece riferimento alla morte di Stefano Cucchi (disse: “Hai sentito il telegiornale?“) e mi comunicò che avrei dovuto redigere un’annotazione. Allora io redassi l’annotazione che mi esibite, nella quale quale scrissi che Cucchi era in stato di escandescenza perché interpretai in tal modo quanto mi aveva riferito Vincenzo Nicolardi, il quale la notte del 16.10.2009 (cioè quando venne arrestato Cucchi ndr) era in contatto con la Centrale Operativa”, ha detto il militare, sentito dal pm il 18 dicembre scorso come persona informata.
La seconda annotazione: “Dettata Mandolini” – Solo che quella ricostruzione dei fatti venne bocciata: “Mandolini – continua Speranza – quando lesse la nota di servizio disse che non andava bene e che avrei dovuto cestinarla perché avremmo dovuto redigerne una seconda in sostituzione della prima. Il contenuto di tale annotazione fu dettato da Mandolini e lo scrissi io, alla presenza anche di Nicolardi, quindi stampammo e la firmammo a nostro nome”. Dieci anni dopo la morte di Cucchi il militare ammette l’errore: “Ripensandoci a posteriori all’epoca peccai di ingenuità, perché mi fidai di Mandolini e Nicolardi che erano più anziani e avevano più esperienza di me”.
La scritta”Bravi”. “Non so perché. Cucchi era morto” – Tra gli atti depositati dalla procura c’è il verbale dell’intervento alla stazione Appia dei militari per trasferire Cucchi a Tor Sapienza: in fondo, nello spazio riservato alle note dei superiori, compare la scritta a mano ‘Bravi!“. Il maresciallo Sapienza nella sua deposizione ha commentato: ”Non so dirvi per quale ragione, nella parte dell’ordine di servizio dedicata alle annotazioni dei superiori è scritto ‘Bravi‘, considerato che avevamo fatto una mera azione di routine e che nel momento in cui l’ordine di servizio fu redatto Cucchi era già morto”.
Il registro: “Era una prova. Presero solo una copia” – Ma non solo. Perché i pm hanno ricostruito anche come già nel 2015 gli stessi carabinieri si fossero accorti di un’anomalia nel registro del fotosegnalamento della Casilina. Per il carabiniere Tedesco, infatti, è in quella caserma che i suoi colleghi e coimputati D’Alessandro e Di Bernardo pestarono Cucchi. Come ha raccontato Il Fatto Quotidiano, già tre anni fa la procura aveva inviato il capitano Tiziano Testarmata a prendere quel registro: si tratta di un ufficiale del nucleo investigativo, dunque esperto d’indagini. E infatti si accorge di quelle grossolane discrepanze in quel documento ufficiale. Ad attenderlo c’era il comandante Pantaleone Grimaldi, che all’epoca guidava la caserma. “Mi fece presente che c’era qualcosa che non quadrava nel registro. Mi fece vedere che un nominativo era stato sbianchettato e sopra era stato scritto un altro nome. Visionandolo, mi resi conto immediatamente dell’anomalia, era evidente che era stato cancellato il passaggio di qualcuno dal foto-segnalamento, fu per questo che invitai il capitano Testarmata a portare con sé il registro in originale e, a quel punto, anche tutta la documentazione, perché era palese quel registro dovesse essere analizzato con maggiore attenzione”, ha raccontato ai pm il militare il 21 novembre scorso, spiegando di avere insistito col collega. “Lo invitai ripetutamente a portare con sé l’originale. Fra l’altro, nell’occasione evidenziai al Testarmata, per convincerlo, che non poteva essere casuale il fatto che quella anomalia riguardava proprio il giorno che interessava a loro, cioè il giorno in cui Stefano Cucchi poteva essere stato foto-segnalato”. Si accorse dell’anomalia anche il capitano Carmelo Beringhelli che aiutò i colleghi del nucleo operativo nell’esame dei documenti: “Il capitano Testarmata, oltre ad essere un mio superiore, era certamente più esperto di me. Nonostante ciò, mi permisi di dirgli che quel registro doveva essere sequestrato perché mi sembrava chiaro che poteva essere la prova di quello che stavano cercando, cioè il passaggio di Cucchi dai locali della compagnia Casilina per il fotosegnelamento”.
Il fotosegnalamento rimase nascosto – Testarmata, però, era titubante. “Ascoltando le mie obiezioni, il capitano si mostrò molto perplesso, non sapeva cosa fare e mi rispose che avrebbe chiesto direttive, quindi uscì dalla stanza per fare una telefonata. Non so a chi chiese direttive, so che poco dopo tornò dicendo che la direttiva restava quella di fare una copia conforme, senza prendere l’originale, cosa che a me non fece piacere perché compresi che non stava facendo un accertamento corretto“. Ovviamente dalle copie non si può notare l’anomalia che compare sotto al nome di Zoran Misic: in controluce è evidente il bianchetto usato per coprire un altro nome. Ma perché Grimaldi non fece cenno di quel particolare nella lettera di trasmissione degli atti? “Davo per scontato che Testarmata ne avrebbe comunque dato atto in un’annotazione in cui avrebbe dato conto dell’attività compiuta. Pensandoci ora, a posteriori, mi rendo conto di aver ragionato in modo notarile, ma visto che c’era un capitano del Nucleo Investigativo che era stato delegato a compiere accertamenti anche su quel registro io diedi per scontato che tutte le criticità che erano state rilevate le avrebbe attestate lui in un atto a sua firma”. Così non è stato. Perché nel caso Cucchi c’è sempre qualcuno che agisce con ingenuità, in modo notarile, senza riflettere. E pensandoci bene solo anni e anni dopo. Andò così anche per il fotosegnalamento di Cucchi: è rimasto nascosto per anni. Insieme al suo passaggio nella stanza in cui, con tutta probabilità, venne pestato. Morì sei giorni dopo che un bianchetto eliminò ogni traccia del suo nome.
Twitter: @pipitone87