Il vicepremier Luigi Di Maio ci ha svelato recentemente che con le autostrade del digitale la fase di recessione ormai confermata anche da Banca d’Italia sarà superata, anzi vivremo un vero e proprio boom economico. Senza interrogarci troppo sulla bontà di questa affermazione, cerchiamo almeno di capire se ci sia stata da parte di questo governo una reale inversione di tendenza rispetto a quanto (di abbastanza disastroso) sia stato fatto in passato in materia di agenda digitale. Iniziamo dalle notizie positive.
1. Prima di tutto questo governo mi sembra che stia evitando di modificare per l’ennesima volta il Codice dell’amministrazione digitale, contenuto in un decreto legislativo del 2005 (D. Lgs. 82/2005) e rattoppato inesorabilmente da ogni governo in questi ultimi anni, in modo da avocarlo come proprio (in assenza di altre reali novità). Inutile dire che oggi il Codice sia diventato un testo di difficile comprensione (anche per i più esperti), sia poco sistematico e al massimo andrebbe abrogato totalmente (e riscritto), ma anche lasciarlo in pace è un buon risultato. Sembrerebbe quest’ultima l’intenzione governativa e me ne rallegro, anche perché non è con nuove norme che si può davvero perseguire l’innovazione digitale in questo Paese.
2. In secondo luogo, abbiamo avuto un cambio di vertice sia in Agid (con Teresa Alvaro) sia nel cosiddetto “Team per la trasformazione digitale” (con Luca Attias quale nuovo Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale). L’ingegner Attias, che conosco personalmente, è persona competente, consapevole, provenendo da un’amministrazione pubblica (quale la Corte dei Conti), è persona capace, che ha dimostrato di saper sviluppare progetti di rilievo e soprattutto è dotato di amara autoironia. E in Italia ce n’è estremo bisogno.
3. Abbiamo avuto inoltre con la Legge di Bilancio 2019 delle timide agevolazioni per imprese e professionisti che intendono avviare azioni orientate verso la digitalizzazione nel cosiddetto Piano “Industry 4.0”, che prevede ad esempio i voucher per i manager dell’innovazione. È rispuntata inoltre la “web tax” e su questa i pareri sono quantomeno discordanti.
Poco altro e il resto mi sembra pericolosamente fermo, purtroppo, fatta eccezione per gli slogan dal sapore elettorale. E intanto ci accorgiamo sempre di più che l’innovazione digitale favorisce anche voragini di dati personali, se non è con consapevolezza presidiata nelle sue azioni più concrete. E il fatto che il già citato Codice dell’amministrazione digitale attenda invano da anni la pubblicazione di specifiche regole (contenute in linee guida), atte a individuare le soluzioni tecniche idonee a garantire la protezione, la disponibilità, l’accessibilità, l’integrità e la riservatezza dei dati e la continuità operativa dei sistemi e delle infrastrutture, non è di certo rassicurante per il nostro Paese. E lo stesso Codice prevedrebbe inoltre diversi altri decreti attuativi e linee guida su materie delicatissime che sembrano essere fermi al palo. Così come non ci sono particolari e positive notizie per alcune parole chiave dei processi di digitalizzazione come Spid (Sistema pubblico di identità digitale) o Anpr (Anagrafe nazionale popolazione residente).
Tutto impietosamente sembra sonnecchiare. Si sente parlare tanto di blockchain senza neppure conoscerlo appieno, paragonandolo forse improvvidamente all’attività notarile, e si prova a regolamentarlo, rischiando di fare peggio.
Infine, si apprende da ultimo che sarebbe direttamente la Presidenza del Consiglio, dal 2020, ad assumere i compiti e i poteri oggi esercitati dal Commissario straordinario per l’agenda digitale. Lo prevede una bozza di emendamenti al decreto semplificazioni dei relatori Daisy Pirovano (Lega) e Mauro Coltorti (M5S). La bozza dispone anche che il mandato del Commissario sia prorogato per l’intero 2019. Poi, dal prossimo anno, sarebbe quindi direttamente il premier (o un suo ministro delegato) ad assumere tutti i poteri in materia di agenda digitale.
Alcuni mesi fa avevo effettivamente chiesto per questo Paese un premier che fosse prima di tutto lui stesso un Chief digital officer, quindi il primo stratega della svolta digitale, ma non pensavo di essere preso in parola. E non può che farmi piacere. Ma vorrei anche capire che fine farà Agid e come si intendano perseguire le sue azioni più tecniche oggi previste nel Codice.
C’è bisogno di ordine e non di slogan. C’è estremo bisogno di formazione, consapevolezza diffusa della situazione di emergenza digitale che questo Paese sta vivendo da anni e di strategie a lungo termine. Forse qualche segnale positivo c’è, ma è ancora davvero troppo timido, anche perché di tempo ne abbiamo perso già troppo in passato.