Il film diretto dal francese Cedric Jimenez ha invece protagonisti Jozef Gabcik e Jan Kubis, due giovani soldati/partigiani cecoslovacchi appartenenti al coraggioso manipolo che a Praga il 27 maggio del 1942 ferì a morte l’ideatore dello sterminio di massa degli ebrei. In sala dal 24 gennaio
Se andando a vedere L’uomo dal cuore di ferro pensate di seguire nel dettaglio le infami gesta del famigerato nazista Reinhard Heydrich vi sbagliate. Il film diretto dal francese Cedric Jimenez (French Connection) ha invece reali protagonisti Jozef Gabcik e Jan Kubis, due giovani soldati/partigiani cecoslovacchi appartenenti al coraggioso manipolo che a Praga il 27 maggio del 1942 ferì a morte l’ideatore dello sterminio di massa degli ebrei. Seguendo l’impostazione del romanzo di Laurent Binet (HHhH, Einaudi), il vero cuore pulsante del film sono infatti la vita, il respiro, il sorriso di questi due ragazzi contrapposti al freddo e sadico anelito di morte trascinatosi dietro dal Reichsprotektor Heydrich, algida consorte e pure Himmler.
Si potrà avanzare qualche dubbio sulla schematicità con cui il film viene diviso in capitoli che sembrano rispecchiare la dicotomia bene/male, ma non è che la storia si riscrive ad ogni stormir di foglia reazionaria. Jozef e Jan furono realmente i due uomini che affrontarono sul muso Heydrich mentre, apparentemente impavido ma francamente sprovveduto, affrontava in auto senza scorta come ogni mattina un ampio vialone di Praga con il solo autista accanto a lui.
Poi certo le origini di Heydrich, interpretato da un frigido Jason Clark (First Man, Everest), sono chiaramente un dilatato prologo sulla meschinità e il sadismo di un puttaniere che voleva diventare alto ufficiale ma che subita l’onta della denuncia di una ragazza sedotta e abbandonata e venne cacciato dall’esercito. Ergo, l’arrembante partito nazionalsocialista, del quale la mogliettina tutta puntuta e vorace (Rosamund Pike – poveretta, quando c’è una donna avida e assassina da interpretare chiamano sempre lei) ha già il tesserino lucidato, diventa l’approdo ideale per Reinhard. E direttamente come capo dello spionaggio SS. Proprio in tempo per organizzare la sanguinosa Notte dei lunghi coltelli con il sacrificio di tutti gli ex compagnoni di Hitler, ovvero le SA. Heydrich è l’uomo giusto al momento giusto. Uno che passa dalle esecuzione sommarie di innocenti a teorizzazioni di “germanizzazione del Reich”, e all’organizzazione pratica dello sterminio ariano, senza mai batter ciglio. Anzi rimanendo talmente fedele a Himmler da diventarne una sorta di doppio esposto spettacolarmente in pubblico. Attenzione però, tutto il biopic in crescendo del gerarca nazista occupa poco più di un terzo del film. Perché, appunto, ne L’uomo dal cuore di ferro si inserisce tutto il discorso resistenziale, antinazista, essenzialmente umano. E lo si fa con i tempi, la concitazione, e la maestria di un ottimo thriller. Jozef Gabcik (Jack Reynor), Jan Kubis (Jack O’Connell, bravissimo in ‘71), ma anche, tra gli altri, Adolf Opalka, Josef Valcik e Anna Novak (una vibrante Mia Wasikowska) preparano la loro missione – l’Operazione Anthropoid – da esuli in Inghilterra in accordo con Churchill e le forze alleate.
Spensierati, amici, patrioti, egualitari, e non belve assetate di sangue, eterna invulnerabilità ed esaltazione egocentrica, rischiano di morire paracadutati in quota in mezzo a metri di neve, come scoperti ad ogni angolo o anfratto tra le vie di Praga. Ed è qui che il film di Jimenez sembra trovare la quadra, una sorta di equilibrio politico e di genere, esistenziale e storico, all’interno della temeraria rete della Resistenza. Per sapere dell’attentato che subì Heydrich e dei suoi giorni di agonia prima della morte per setticemia ci sono molte pagine dei libri di storia. Ma ne L’uomo dal cuore di ferro si riscrive con audacia ed energia la presenza degli attentatori, la loro fuga, il loro nascondersi, e la definitiva resa sotto una tempesta di piombo dentro una chiesa con l’apice tragico di un autentico massacro (è tutto realmente accaduto), mitraglietta sull’altare, bombe a mano e candele che saltano in aria come birilli, come fossimo in una bella copia del finale de Il Mucchio Selvaggio di Peckinpah. Il film esce il 24 gennaio in Italia grazie a Videa, dopo lunghe traversie, soprattutto distributive, vista la presenza iniziale della defunta Weinstein Company. Sull’argomento segnaliamo il recente Anthropoid di Sean Ellis (è stato prodotto dopo il film di Jimenez ufficialmente girato nel 2015 e mostrato nel 2017) o il più imbalsamato Operation Daybreak (1975) di Lewis Gilbert (quello di Alfie e di tre James Bond).