Capitali in fuga

Ma una delle sfide più importanti che le nazioni africane si trovano ad affrontare è arrestare l’emorragia continua di capitali, spesso illeciti, che lasciano il continente. A maggio 2017 un rapporto della Global Financial Integrity ha evidenziato come nel decennio tra il 2005 e il 2014 «i trasferimenti illeciti di capitali dai Paesi subsahariani sono stati equivalenti al 9,5% del volume complessivo dei loro scambi commerciali, a fronte di un dato che per l’insieme delle regioni in via di sviluppo non ha superato il 5,9». Dall’Etiopia, da cui partono migliaia di migranti, si volatilizzano 2 miliardi e 583 milioni di dollari. Dalla Nigeria, 17 miliardi e 804 milioni. E già nel 2015 uno studio (Illicit financial flows – Tuck it! Stop it! Get it!) dell’Unione africana affermava che i crimini finanziari, quali appunto l’elusione delle tasse e la corruzione, drenano dal continente tra i 36 e i 69 miliardi di dollari all’anno, pari a una percentuale tra il 7,5 e l’11,6 % del commercio totale africano. E spesso questi tesoretti in fuga finiscono nei paradisi fiscali. Gabriel Zucman, professore alla London School of Economics, aveva calcolato, nel 2015, che della ricchezza esentasse custodita nelle società di comodo all’estero, almeno 500 miliardi di dollari erano africani. Un arricchimento predatorio che ha come modello quello delle multinazionali che lavorano da decenni in Africa. Un report dell’associazione britannica War on Want ha rilevato che 101 società quotate alla borsa di Londra controllano un valore pari a 1,05 miliardi di dollari di risorse in Africa grazie alla gestione di soli 5 beni: petrolio, oro, diamanti, carbone e platino. Di queste 101 società, che hanno attività in 37 Paesi africani, 25 hanno sede in vari paradisi fiscali.

Appare evidente, quindi, che è una favoletta la narrazione di un’Africa povera e delle migrazioni come conseguenza di una miseria inevitabile. “L’aiutiamoli a casa loro” è spesso esclusivamente un testacoda semantico.

L’articolo è tratto dal mensile FQ MillenniuM, novembre 2018

INDIETRO

Africa e migranti, aiutiamoli a casa loro? E invece li sfruttiamo: dal pesce del Senegal ai diamanti e il petrolio

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

SALVIMAIO

di Andrea Scanzi 12€ Acquista
Articolo Precedente

Spice Girls, inchiesta del Guardian: “La maglietta per la parità di genere cucita da operaie per 40 centesimi l’ora”

next
Articolo Successivo

Migranti, l’attivista Brhane: “Frustate e stenti, ecco cosa significa essere riportati in Libia. Io so, perché l’ho vissuto”

next