di Monica Di Sisto
Le strade di Davos invase dai lupi. Nella sede del World economic forum, dove ogni anno le principali corporation e gruppi multinazionali si incontrano per dettare le proprie priorità economiche e politiche a rappresentanti istituzionali di tutto il mondo ansiosi di metterle in pratica, decine di attivisti di tutta Europa lanciano così l’azione congiunta “Diritti per le persone, regole per le multinazionali STOP ISDS”, una raccolta firme e un programma di iniziative coordinato per chiedere a istituzioni e a governi Ue lo stralcio delle clausole arbitrali da tutti gli accordi commerciali e di investimento in vigore e in fase di trattativa. Con la petizione, che si può sottoscrivere qui si invitano, inoltre, l’Ue e gli Stati membri a sostenere l’approvazione di un trattato vincolante delle Nazioni Unite sulle multinazionali e i diritti umani. In poche ore dal lancio solo in Italia sono state raccolte già oltre 10mila firme.
Alcuni degli strumenti più potenti in mano alle aziende, infatti, per impedire alle istituzioni nazionali di mettere i diritti dei propri cittadini al primo posto rispetto ai soliti interessi, sono proprio le penali e le clausole arbitrali come l’Investor to State dispute settlement (Isds) e la sua forma ammorbidita Investment cours system (Ics) proposta dalla Commissione europea inserite nella maggior parte dei trattati commerciali e negli accordi relativi agli investimenti.
Come documenta il nuovo rapporto “Diritti per le persone, regole per le multinazionali”: scaricabile a questo link, redatto da Francesco Panié e Alberto Zoratti per la campagna Stop TTIP/CETA Italia, che raccoglie numeri, analisi, statistiche ed esempi di cause intentate dalle multinazionali contro gli Stati, attraverso il meccanismo di composizione delle dispute fra investitori e Stati (ISDS), i dati su 195 cause concluse negli ultimi trent’anni dimostrano che in tutto il mondo gli Stati hanno dovuto pagare 84,4 miliardi di dollari alle imprese private a seguito di sentenze sfavorevoli (67,5 miliardi) o costosi patteggiamenti (16,9 miliardi). Una cifra parziale, visto che alcune cause sono segrete e altre ancora pendenti. Soldi sottratti a politiche sociali, ambientali, salariali. Dopo la Spagna l’Italia è il paese più colpito: sul finire del 2018 ha perso la sua prima causa da 7,5 milioni di euro con la danese Greentech Energy Systems per aver tagliato gli incentivi alle rinnovabili nel 2014: e ci attendono al varco almeno altri 10 cause di risarcimento.
Oltre quaranta delle imprese quotate come “partner industriali” del World economic forum sono state coinvolte in casi ISDS: ospiti vip che accolgono nel lusso tanti rappresentanti di quegli stessi Stati che negli anni hanno portato davanti a un giudice per sfilare loro miliardi di risorse pubbliche che potevano investire per i propri cittadini. Da oggi in poi, e non solo a Davos, balleranno con i lupi.
Primo banco di prova per il Parlamento europeo sarà il voto del prossimo 12 febbraio sul trattato per la liberalizzazione degli investimenti tra Europa e Singapore, che contiene un arbitrato ISDS-ICS di cui la società civile europea chiede la bocciatura, come primo segnale tangibile di buona volontà politica. Seconda richiesta, soprattutto da parte delle organizzazioni italiane, al governo italiano la rapida calendarizzazione e bocciatura del Ceta, il trattato di liberalizzazione degli scambi tra Europa e Canada, prima delle elezioni europee, in linea con gli impegni elettorali della maggioranza degli eletti al Parlamento italiano, di tutti i partiti. Se entrasse in vigore pienamente, infatti, attiverebbe una clausola arbitrale analoga a quella che il Canada ha ottenuto dal presidente Usa Donald Trump di stralciare dall’USMC: l’area di libero scambio tra Usa, Canada e Messico recentemente rinnovata alla scadenza dello storico Nafta. “Una grande conquista – l’ha definita la ministra degli Esteri canadese Chrystia Freeland – perché ci permetterà mettere i diritti dei cittadini canadesi al di sopra di quelli corporativi”. Bocciare il Ceta è l’unico modo di ottenerlo anche noi.