Cultura

Lino Banfi all’Unesco vale come il Gabibbo all’Organizzazione Mondiale della Sanità

«Ne approfittiamo per dare una notizia all’Italia che a me riempie di orgoglio: come governo abbiamo individuato il maestro Lino Banfi perché rappresenti il governo nella commissione italiana per l’Unesco. Abbiamo fatto Lino Banfi patrimonio dell’Unesco»: questa dichiarazione del vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio sembra fatta apposta per dare ragione alle rudi constatazioni di Gino Strada sulla qualità del governo gialloverde.

 

E non perché l’Unesco sia una cosa sacra: la commissione italiana in particolare è sempre stata un porto delle nebbie dove parcheggiare ex potenti, boiardi di Stato e altre elette categorie. Ma intanto il governo Conte – che dice di voler cambiare l’Italia in meglio, e non di adeguarsi al disastro precedente – è riuscita a far peggio, perché Banfi prende il posto di Folco Quilici, un grandissimo documentarista grazie al cui lavoro il patrimonio culturale era entrato nella conoscenza e nel desiderio di milioni di italiani. E non si tratta di disprezzare il cinema popolare di cui Banfi è un’icona, ma di mettere le cose giuste al posto giusto.

E invece no, si sente tutta la carica di irrisione e disprezzo di Di Maio verso i professoroni. Per carità, anche questa non è certo una cosa nuova. Da Mussolini a Scelba a Renzi, l’odio dei mediocrissimi potenti italiani per tutti coloro che sanno qualcosa (il «culturame», i «professoroni gufi»…) è una tristissima costante.

Ancora peggio della nomina, se possibile, il commento di Salvini, che dopo aver irriso il collega vicepremier (volendo forse dimostrare che la metà fascista del governo è consapevole della materia di cui è fatta l’altra metà, per restare a Strada), conclude: «”Scherzi a parte, l’Italia è così bella che chiunque può difenderla e valorizzarla».

Vorrei vederlo mentre lo dice ai giovani storici dell’arte, agli archeologi, ai bibliotecari, agli archivisti italiani che fuggono a lavorare in tutto il resto del mondo perché qua, da decenni, si pensa che «chiunque» possa occuparsi della «bellezza».

I danni di questa colossale cialtroneria, di questa mancanza di rispetto per le cose e per le persone, sono evidenti: dai piccoli musei comunali o diocesani, su su fino ai grandi musei della riforma Franceschini e alla terribile serie degli stessi ministri per i Beni culturali, gli incompetenti totali sono legioni. Tanto l’Italia «è così bella che chiunque può difenderla e valorizzarla».

Tanto chiunque può fare qualunque cosa: e Banfi all’Unesco vale come il Gabibbo all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tanto nel mondo lo sanno che l’Italia non è un paese serio: e questo il Governo del Non Cambiamento lo ha capito benissimo.