Immaginate la scena: 117 gattini indifesi, occhi grandi e strappalacrime, a bordo di un gommone alla mercé delle onde. Pensate all’apprensione sui social, alle condivisioni preoccupate su tutti gli schermi. Tranquilli, tirate pure un sospiro di sollievo: per fortuna nessun micio è rimasto coinvolto nel naufragio di venerdì a 45 miglia da Tripoli. Sono annegate, boccheggiando come pesci, 117 persone tra cui 10 donne, di cui una incinta, e due bambini, di cui uno di due mesi; ma nemmeno un baffo felino è stato torto. Menomale.
Ovviamente è una provocazione. Ovviamente i gatti non c’entrano nulla con un mare (pieno) di cadaveri. C’entrano però come esempio dell’analfabetismo emozionale di questo Paese barbarico, che invade i social di tenerezze animali e poi sputa sopra la vita. Un’Italia che ha finito di stancare.
L’ultima degli imbecilli, bella grossa, è invischiata con le primarie di Bari. Eviterò di nominare candidati e partiti per non danneggiare i tanti che magari non c’entrano nulla con la disumanità di una. Sta di fatto che l’aspirante Nobel per la pace ha condiviso sui social tutto lo schifo che ha in testa: in bianco su sfondo nero la scritta “E per altri 117 la pacchia è finita”. L’iconcina di una bara a confezionare il tutto. Poi si scusa dicendo che il suo intento “non è stato compreso”. Imbecille e vigliacca.
Ma non è un caso isolato, anzi. Il concetto stesso di “Prima gli italiani”, mantra dei “non sono razzista ma…”, contiene la bile che permette di digerire notizie di morte e poi ruttarci sopra pubblicamente. Spiegatemelo un attimo questo “principio” di chi viene prima. Io l’ho inteso così: in tempo di crisi, la priorità va assegnata per cittadinanza. “Prima gli italiani” come se un giorno ci saranno mai risorse per tutti; “prima gli italiani” come se una famiglia in difficoltà scegliesse quale figlio sfamare; “prima gli italiani” come se un Comune in dissesto stanziasse tutto il welfare solo per una categoria protetta abbandonando le altre; “prima gli italiani” per lavarsi mani e coscienza; “prima gli italiani” e nel frattempo i porti chiusi non fermano i disperati ma solo chi li salva.
Di fronte alla morte, la distinzione per cittadinanza è vergognosa. “Prima gli esseri umani”, quello dovrebbe essere il principio. Invece no: valori cristiani e ama il prossimo tuo in base alla pelle. Allora adesso ve la dico io una cosa che dovrebbe turbarvi come gattini abbandonati: “Meglio morire che tornare in Libia“. Lo hanno detto gli unici tre superstiti del naufragio di venerdì raccontando “delle violenze e degli abusi subiti”. La pacchia è proprio finita.