Scienza

Talassemia beta, così la terapia genica potrebbe aiutare a non dipendere più dalle trasfusioni di sangue

Lo studio, pubblicato su Nature Medicine, ha coinvolto nove soggetti di diversa età - tre adulti sopra i trent'anni, tre adolescenti e tre bambini sotto i sei anni - tutti con forme di beta talassemia gravi e dipendenti dalle trasfusioni

Non dipendere più dalle trasfusioni. Per tre bambini che soffrivano di talassemia beta è un traguardo raggiunto.  Grazie a una terapia genica che si è dimostrata efficace soprattutto nei pazienti più giovani. Lo studio, pubblicato su Nature Medicine, ha coinvolto nove soggetti di diversa età – tre adulti sopra i trent’anni, tre adolescenti e tre bambini sotto i sei anni – tutti con forme di beta talassemia gravi e dipendenti dalle trasfusioni.

In tre dei quattro pazienti più giovani – come riporta l’Ansa – si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue, mentre nei tre pazienti adulti si è ottenuta una significativa riduzione della loro frequenza. Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo. La  sperimentazione è il frutto di oltre dieci anni di lavoro del gruppo di ricerca di Giuliana Ferrari, docente dell’Università Vita-Salute San Raffaele, all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano e possibile grazie all’alleanza tra il San Raffaele, Fondazione Telethon e Orchard Therapeutics.

I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di terapia genica simile a quella già impiegata all’SR-Tiget per altre malattie rare del sangue, come ADA-SCID (il cui trattamento è diventato il primo farmaco salva-vita di terapia genica approvato al mondo), la leucodistrofia metacromatica (MLD) e la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS). La beta talassemia è una malattia genetica del sangue molto diffusa nell’area mediterranea e che conta oltre 7000 pazienti solo in Italia. È causata da una mutazione del gene che incide nel funzionamento dei globuli rossi e in particolare per il trasporto dell’ossigeno. Nelle mutazioni più gravi i pazienti per sopravvivere devono ricorrere a frequenti trasfusioni, con una riduzione drammatica della qualità della vita, o al trapianto di midollo osseo da donatore.

Lo studio è stato svolto grazie alla sinergia tra ricercatori di base e clinici e in collaborazione tra l’Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica e quella di Ematologia e Trapianto di Midollo dell’Ospedale San Raffale, dirette rispettivamente da Alessandro Aiuti e Fabio Ciceri, insieme al Centro malattie rare diretto da Maria Domenica Cappellini del Policlinico di Milano. Lo studio, con il coordinamento clinico della dottoressa Sarah Marktel, si è avvalso della partecipazione di altri centri italiani esperti di talassemia e della collaborazione con associazioni dei pazienti.

Il protocollo prevede innanzitutto la raccolta delle cellule staminali dal sangue periferico dei pazienti. I ricercatori hanno inserito al loro interno una copia funzionante del gene della beta-globina, utilizzando un virus della stessa famiglia dell’HIV, svuotato del suo contenuto infettivo e trasformato in vero e proprio mezzo di trasporto per la terapia. Infine le cellule staminali corrette sono state re-infuse nei pazienti direttamente nelle ossa, così da favorire il loro attecchimento nel midollo osseo. A distanza di oltre un anno dal trattamento (i soggetti adulti sono stati trattati per primi, ormai quasi 3 anni fa) la terapia risulta sicura ed efficace. “I risultati raccolti fino ad ora dimostrano non solo la sua sicurezza in questo contesto, ma anche la sua maggiore efficacia”, spiega Giuliana Ferrari. Dal momento che la malattia compromette in modo progressivo l’integrità del midollo osseo, intervenire in giovane età permette di ottenere risultati migliori.

L’abstract dello studio su Nature