Oltre a quelle britanniche e alle compagnie con dislocamenti in UK, il travagliato percorso verso la Brexit sta facendo tremare l’industria europea dell’auto: più o meno tutti i costruttori, a seconda delle loro quote di esportazione in Gran Bretagna, potrebbero subire delle ingenti perdite economiche. Euler-Hermes – compagnia di assicurazione del credito del gruppo Allianz – ha stilato una classifica che tiene conto dei cali delle esportazioni legate a mancati accordi Ue-Gb: ne risulta che il settore dell’automotive sarebbe quello più danneggiato. Infatti, l’industria tedesca potrebbe perdere fino a 1,6 miliardi di euro, seguita da Belgio (0,5), Francia e Spagna (0,3) e Italia e Olanda (0,2).

Ciò deriverebbe dallo squilibrio fra produzione di veicoli nel Regno Uniti e importazione dall’estero, prevalentemente dalla Unione Europea. Secondo i dati SMMT (Società dei produttori e commercianti di automobili) in GB vengono costruite circa 1,7 milioni di auto l’anno, di cui meno di 336 mila destinate al mercato interno: considerando che quest’anno in Gran Bretagna sono state immatricolate 2,37 milioni di auto, significa che oltre l’85% del venduto è di importazione. Percentuale che sale oltre il 90% se al computo di aggiungono i veicoli commerciali.

In altri termini, il mercato inglese è strettamente dipendente dall’import. Ne consegue che, se la questione Brexit non sarà risolta, le auto importate in Gran Bretagna potrebbero subire dazi del 10%: il che potrebbe colpire duramente multinazionali come Volkswagen, Mercedes e BMW (che sarebbe segnata pure dai dazi europei per le Mini importate verso l’Europa dal Regno Unito), che insieme hanno venduto quasi un milione di veicoli in UK nel 2018.

Ne risulterebbe danneggiato anche l’indotto, che già comincia a fare i conti con le difficoltà di approvvigionamento della componentistica proveniente dalla Ue: questo potrebbe compromettere i moderni criteri della produzione “just in time”, che non prevede grandi stock di componenti in magazzino quanto una logistica degli stessi che va di pari passo con la produzione. Sarebbe a rischio, quindi, il flusso di parti meccaniche proveniente dall’Unione Europea e dirette alla Gran Bretagna, che vale circa 11,4 miliardi di euro.

Una dinamica che, inevitabilmente, danneggia anche produttori locali del calibro di Jaguar, Land Rover e Aston Martin, costretti a stoccare decine di milioni di componenti per evitare una produzione a singhiozzi: e ciò fa lievitare i costi di produzione. La marca preferita da James Bond ha già aumentato lo stock da due a cinque giorni lavorativi e starebbe studiando itinerari alternativi per far arrivare i pezzi dalla Germania (come i motori AMG che spingono gli ultimi modelli) senza incappare nelle dogane più intasate. Pessima la situazione in Rolls-Royce, visto che le sue auto utilizzano un 92% di parti provenienti da fuori il Regno Unito. Problemi analoghi pure in Bentley.

Mentre Ford potrebbe addirittura decidere – coerentemente col suo piano di ristrutturazione – di fermare la produzione inglese dell’azienda, spostandola in qualche impianto del Gruppo Volkswagen, nell’Europa continentale: ipotesi più che plausibile ora che fra i due costruttori di sono delineati nuovi scenari di collaborazione industriale.

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