La corte d'Appello di Milano salva il Senatùr e il figlio Renzo dopo la modifica della norma voluta dai dem e la querela ad personam del Carroccio. Ma in primo grado erano stati condannati rispettivamente 2 anni e 3 mesi e un anno e sei mesi una serie di appropriazioni indebite: ecco quali
In primo grado erano stati condannati perché 353mila euro, arrivati alla Lega attraverso il meccanismo del rimborsi elettorali, erano stati spesi per pagare multe e saldare lavori di ristrutturazioni, comprare gioielli e andare dal dentista. Azioni portate avanti “nell’ambito di un movimento” cresciuto – scrivevano giudici nelle motivazioni della condanna di primo grado – “raccogliendo consensi” come opposizione “al malcostume dei partiti tradizionali“.
Un paradosso che oggi si scontra contro la decisione – obbligatoria in base alla nuova legge sull’appropriazione indebita – dei giudici della Corte d’appello di Milano che hanno dichiarato il non luogo a procedere per Umberto e Renzo Bossi a cui erano stati inflitti rispettivamente 2 anni e 3 mesi e un anno e sei mesi. Al fondatore del Carroccio, la procura di Milano, aveva contestato l’appropriazione di 208mila euro. A Bossi jr – che ringrazia pubblicamente il segretario – erano stati addebitati, invece, più di 145mila euro, a Belsito 2 milioni e 400mila euro: per un totale di 297 capi di imputazione. Nelle motivazioni il Tribunale sottolineava che “non si può ignorare il disvalore delle condotte” contestate “poste in essere con riferimento alle elargizioni provenienti dalle casse dello Stato”.
La mancata presentazione della querela da parte del partito, guidato da Matteo Salvini, ha di fatto impedito che si potesse procedere nei confronti dei due imputati. Eppure i giudici di primo grado consideravano Bossi senior “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” dell’allora Lega Nord, ma proveniente “dalle casse dello Stato”, “per coprire spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”.
Venti i capi di imputazione contestati al solo Trota, condannato pochi giorni fa in primo per peculato. C’erano le multe, una cartella di Equitalia, l’acquisto di una Audi A6, l’assicurazione per la macchina, la laurea all’università Kristal di Tirana, un assegno. Totale di 145.524, 28 euro. Dal capo 21 al capo 69 le altre contestazioni riguardano Bossi senior, Riccardo Bossi e l’ex amministratore Belsito (unico a essere condannato oggi): anche in questo caso troviamo tante contravvenzioni, bonifici, assegni, contratto di leasing di una Bmw X5, soldi per il mantenimento della moglie di Riccardo, riparazioni in carrozzeria, spese per un garage, l’iscrizione all’Università dell’Insubria (prima e seconda rata, ndr) un abbonamento Sky e pure le spese per il veterinario: totale 157.993, 13. Dal capo 70 al capo 85 c’erano le contestazioni in concorso per il Senatùr e l’ex segretario amministrativo: altre multe, una cartella esattoriale, il pagamento di una fattura di spese mediche per il figlio Sirio, i lavori di ristrutturazione della villa di Gemonio (sulla matrice dell’assegno c’era scritto Casa Capo lavori, ndr), abbigliamento vario (fra cui le famose mutande), gioielli, un regalo di nozze, assegni vari, il pagamento a uno studio di architettura, assegni e anche il dentista ovvero 208.565,30 euro.
A Belsito veniva contestata l’appropriazione di 77.131,50 euro per l’acquisto del titolo della laurea albanese di Pierangelo Moscagiuro, ex autista di Rosy Mauro, già vicepresidente del Senato, espulsa dal partito ma archiviata da ogni accusa. E poi soldi per soggiorni in hotel, le immancabili multe, scontrini di enoteche e ristoranti, bollette telefoniche e prelievi tramite assegni per un totale di 2 milioni e 400 mila euro. Tutte spese che erano state rendicontate dallo stesso tesoriere che in una cassaforte custodiva una cartelletta con la dicitura “The Family”. L’ex tesoriere è l’unico condannato per appropriazione indebita. Dopo la sentenza ha commentatto: “Sono rimasto con il cerino in mano. Io pago lo scotto di essere stato il tesoriere che ha eseguito determinati ordini. In questo caso paga l’esecutore ma non il mandante”.