L'ex giornalista Rai che se ne andò per le "spese pazze" quando era inviata negli Stati Uniti, si difende alla vigilia di settimane intense durante le quali per lei potrebbero riaprirsi le porte di viale Mazzini. All'Adnkronos dice: "Non mi vogliono i coristi della nomenklatura. Fu solo una campagna mediatica contro di me non avvalorata poi da quanto stabilito dal giudice. Perché dicono che Biagi si rivolterebbe nella tomba?"
Il suo ritorno in Rai è osteggiato dai “coristi della nomenklatura” ai quali “do fastidio”. E i 150 milioni di lire di note spese in un anno e mezzo quando era corrispondente del Tg2 dagli Usa? “Accuse archiviate, finite nel nulla”. Di più: “Solo una campagna mediatica contro di me non avvalorata poi da quanto stabilito dal giudice”. Maria Giovanna Maglie, ex giornalista Rai che se ne andò per le “spese pazze” quando era inviata negli Stati Uniti, si difende alla vigilia di settimane intense durante le quali per lei potrebbero riaprirsi le porte di viale Mazzini.
Almeno così vorrebbero la Lega e la sua amica e direttrice di rete, Teresa De Santis. Striscia quotidiana in primissima serata, subito dopo il tg: a conti fatti, prenderebbe il posto che fu di Enzo Biagi. Ma i Cinque Stelle si sono messi di traverso: un po’ per le idee sovraniste della giornalista, un po’ per quel passato ingombrante politicamente (era una craxiana) e un po’ per quella storia dei 150 milioni di lire di rimborsi spese.
Che lei, intervistata dall’Adnkronos, ricorda essere finita in una bolla di sapone, perché il giudice archiviò. Quell’esagerazione fu però anche oggetto di un audit interno e alla fine nel 1994 dovette andarsene dalla Rai. In sostanza, spese molto ma non falsificò le fatture. “Alla fine del 1993 cominciò una spaventosa campagna stampa contro di me in cui mi si accusava di aver estorto soldi e aver falsato le note spese gonfiandole, in riferimento al periodo che va dal 1991 al 1993, in sostanza l’intero periodo in cui ero corrispondente negli Stati Uniti”, dice all’Adnkronos.
Quando scoppiò il caso “ed io chiesi di cosa ero accusata, la Rai mi rispose che si trattava di cose scritte sulla stampa che, però, impedivano che io continuassi a lavorare normalmente – ricorda – Una triangolazione nella quale mi sono trovata nel clima incandescente della fine della Prima Repubblica. Ad un certo punto io mi sono dimessa, perché la campagna stampa era diventata insopportabile e perché mi sembrò l’unico modo per potermi difendere nelle sedi adeguate. Finito tutto questo, cominciò la parte di chiarimento giudiziario”.
Restano i 150 milioni di lire di rimborsi: “Certo che le spese del Tg2 in quel periodo erano superiori a quelle degli altri telegiornali – tuona – ma questo dipendeva dal fatto che io producevo dieci volte di più degli altri non solo perché, oltre a fare il collegamento all’orario principale, facevo anche quello delle 13 e della notte, ma perché per un anno intero ho fatto tutte le settimane alle undici della sera un programma che si chiamava ‘Pegaso America’ che durava più di un’ora e che era interamente prodotto a New York da me”. E quindi, aggiunge, “quelle famose spese definite ‘gonfiate’, erano semplicemente delle spese dovute al fatto che, invece di produrre nell’arco di una settimana 5 minuti, io ne producevo 75”.
E sull’accostamento come successore nello spazio di approfondimento che fu di Biagi, dice: “Perché scrivere che Enzo Biagi si rivolterebbe nella tomba se fossi io a condurre quella striscia? Cosa fa credere che io non realizzerò un prodotto obiettivo, se decidessi di accettare? Cosa fa credere che io non metterò in fila fatti, numeri, testimonianze e che, quindi, non darò un contributo positivo ed equilibrato? Avere delle opinioni forti – conclude – non vuol dire essere disonesti”.