Per una tangente in Italia si seppelliscono rifiuti tossici sotto terra, si costruisce in riva al mare, si tirano su scuole che rischiano di crollare, si fanno vincere concorsi a cittadini che non hanno merito, si fa la cresta sul prezzo per i funerali di chi muore all’ospedale, si aiutano gli evasori fiscali, si fanno vincere gare a società che non potrebbero, si trasforma quello delle case popolari da un servizio in un affare, si promuove senza motivo il consumo di un particolare farmaco, si pronunciano sentenze false, si specula sui progetti di integrazione, si bara alle elezioni. Le tangenti avvelenano l’ambiente, la scuola, la sanità, la giustizia, la macchina dello Stato fino ai suoi uffici più periferici, la politica e quindi la democrazia. Con le tangenti si fanno i soldi sulla pelle degli anziani che vanno all’ospedale, dei familiari dei morti, di chi soffre di una malattia, dei bambini che vanno a scuola, di chi non si può permettere una casa. Ci si prende gioco degli italiani che pagano le tasse, che studiano tutta la vita per vincere un concorso, che rispettano le regole per vincere un appalto, che si affidano a un tribunale per cercare giustizia.
Prima di scrivere queste righe, è stato necessario ascoltare tre o quattro volte quello che alla Camera ha pronunciato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Una serie di banalità: sia detto a suo beneficio. Il ministro spiegava che la corruzione si percepisce ogni volta che viene giù un palazzo dopo un terremoto e si scopre che è stato costruito col materiale al risparmio oppure ogni volta che un ragazzo se ne va perché capisce che senza qualche unguento non arriverà a quello che desidera. Due tra i milioni di motivi per i quali la corruzione è la priorità, come dimostra la serie di storie prodotte da Riparte il futuro e pubblicate nelle ultime settimane su ilfattoquotidiano.it.
Sono le stesse banalità elencate all’inizio di questo concione, prese a prestito dalla cronaca giudiziaria degli ultimi tre mesi. Eppure davanti a quelle banalità i deputati del Partito democratico, in modo sbalorditivo, sono andati fuori di testa. Per questo è stato necessario riascoltare e riascoltare Bonafede, per timore di aver perso qualche parola degna di tanta indignazione. Ma scandaloso, per i deputati del Pd, era evocare la corruzione nell’Aula di Montecitorio. Pretendevano – così si è capito – accuse circostanziate: il tale ha fatto questo alla tal’ora. Un paradosso stupefacente: qualcuno può parlare della necessità della lotta alla corruzione solo se si porta appresso la mazzetta come prova schiacciante. Un paradosso doppio perché quelle parole venivano pronunciate dentro il Parlamento: e chi dovrebbe occuparsi – sempre, subito, da ieri – di lotta alla corruzione se non il Parlamento?
Una reazione giustificabile solo con un’ubriacatura, la sbornia garantista che segue le cene romane gomito a gomito in compagnia – ed evidentemente in intesa – con tutta la destra. Dopo la sbornia il Partito democratico deve aver perso la strada, anche se molti segnali dicono che l’ha imboccata ormai parecchio tempo fa. Ed è un desolante controsenso, a fari spenti.
Secondo l’Istat, alla fine del 2017, quasi l’8 per cento delle famiglie italiane aveva ricevuto richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi o agevolazioni. Il numero assoluto di famiglie supera la cifra di un milione e 700mila e i casi più frequenti riguardano il lavoro e i tribunali. Vale la pena dilungarsi per ricordare quanto costa? Quanto è costato il Mose travolto dalle mazzette? Quanto costa in investimenti mai arrivati? Quanto costa in salute un rifiuto interrato, l’aria malsana di una fabbrica non controllata? Quanto costa una vita persa sotto un palazzo che non ha tenuto? C’è davvero bisogno delle “prove”, come chiede il Pd?
E’ sempre un po’ spiacevole, se non talvolta scorretto, prendersela con le forze politiche che stanno all’opposizione. Ma il Partito democratico non è solo il principale partito dell’opposizione. Ha soprattutto la responsabilità di rappresentare il principale partito della sinistra, ammesso che ne abbia ancora voglia. E la sinistra per milioni di italiani, negli ultimi centocinquant’anni, è stata un modo per trasformare il mondo in un posto più giusto, oltre che più libero.
Cosa c’è che ha più a che vedere con la giustizia, intesa come quella sociale, della lotta alla corruzione? Cosa c’è di più giusto se non riconoscere il merito del più bravo e non del più furbo, del più violento, del più ricco? Cosa c’è più di sinistra del rispetto dei criteri di scelta, del merito, della lista d’attesa? Cosa deve combattere di più la sinistra degli scambi di favori, delle fratellanze, delle mercificazioni a scapito di diritti e doveri? Le regole tutelano i più deboli, quasi sempre. Più in generale, difendono i cittadini dalle oligarchie, proteggono l’uguaglianza. Concetti banali, perfino faciloni, addirittura magari infantili. Ma sono stampigliati nella Costituzione anche grazie ai partiti di sinistra. Legalità, trasparenza, lotta a mafie e corruzione sono comparsi in innumerevoli discorsi pubblici del presidente della Repubblica. Non è che se li dice un ministro grillino, valgono meno.
Prima dei grillini, lo ha detto la sinistra. Piero Gobetti definiva il fascismo autobiografia della nazione anche perché promuoveva la “cortigianeria” e il “trasformismo”: “Combattevamo Mussolini come corruttore prima che come tiranno, il fascismo come tutela paterna prima che come dittatura” scrisse. Il mussolinismo, aggiunse più precisamente nella Rivoluzione liberale, “è […] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l’abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza”.
Giacomo Matteotti fu fatto ammazzare dal Duce perché stava per denunciare in Parlamento una maxi-tangente di una società petrolifera per delle concessioni a trivellare nel mar Adriatico, mazzetta che finì al fratello e braccio destro di Mussolini, Arnaldo. Non ci sarà bisogno di ricordare, si spera, le parole di Sandro Pertini da presidente della Repubblica e di Enrico Berlinguer da segretario del Pci.
Accade spesso che il Pd dia l’impressione di interpretare il ruolo di opposizione solo per posa: proteste finto-grilline per tentare di risalire la china, come se solo le vene ingrossate al collo e lo sbatacchiamento degli scranni fossero sufficienti da soli per spiegare il trionfo altrui e soprattutto il proprio disastro elettorale, iniziato 4 anni fa e non ancora concluso. Ma quello che conta per chi vota a sinistra sarà capire se il Pd sta sbandando per una sbornia, se ha solo sbagliato strada, o se quella in corso sia la metamorfosi definitiva.