Quella di giovedì sarà una giornata cruciale per il Venezuela: il Paese si sveglia con due presidenti, spaccato su due fronti, e non è facile immaginare quali saranno le evoluzioni. Anche se non è la prima volta l’opposizione anti-chavista cerca di rovesciare il governo guidato da Nicolas Maduro, questa volta ci sono alcuni fattori che possono segnare la differenza: l’appoggio internazionale e il ruolo dei militari. Dopo che mercoledì 23 gennaio il giovane presidente dell’Assemblea nazionale Juan Guaidò si è autoproclamato presidente ad interim, è arrivato infatti il riconoscimento immediato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e dagli 11 paesi sudamericani del cosiddetto Gruppo di Lima (ad eccezione del Messico di Lopez Obrador). Cina, Russia e Turchia invece sono dalla parte di Maduro.
Già nel 2014 e nel 2017 l’opposizione era riuscita a far scendere in piazza per mesi migliaia di persone a protestare contro il governo chavista, ma alla fine il risultato era stato un nulla di fatto. Intanto perché non c’era un unico leader a guidarla in maniera salda e a raccogliere tutti i vari fronti di cui è composta, e poi perché la comunità internazionale si era limitata a condannare le violenze e la repressione, e ad imporre (nel caso degli Usa) ulteriori sanzioni.
La mossa di Guaidò apre invece la strada ad un gioco politico diverso il cui risultato è incerto. Per giurare come presidente incaricato, si è basato sugli articoli 233, 333 e 350 della Costituzione che stabiliscono che, in caso di assoluta assenza del capo di Stato, tocca al titolare del potere legislativo guidare, in forma temporanea, l’Esecutivo e convocare nuove elezioni. L’Assemblea nazionale, controllata dall’opposizione e dichiarata “disobbediente”, sostiene che Maduro stia usurpando il potere dallo scorso 10 gennaio, da quando cioè ha giurato per il suo secondo mandato, dopo elezioni da loro considerate fraudolente. Contemporaneamente il Tribunale supremo di giustizia (considerato longa manus del chavismo dall’opposizione) ha accusato l’Assemblea di usurpare le funzioni dell’Esecutivo e ha invitato la Procura a stabilire le responsabilità del caso, aprendo le porte ad un ipotetico quanto inedito processo penale ai parlamentari.
Ma oltre a questo ci sono altre incognite da tener presenti: la decisione di Usa e altri paesi di non riconoscere Maduro come legittimo presidente e di riconoscere Guaidò come presidente ad interim, oltre all’annuncio dello stesso Maduro di rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa, con tanto di ultimatum: 72 ore di tempo per lasciare il Paese. “A partire da ora siamo davanti ad un dilemma importante”, ha commentato l’analista politico venezuelano Jesús Seguías a BBC Mundo. “Se Maduro li obbliga ad andarsene con la forza o li blocca, come accadde nell’Iran di Khomeini, Washington dovrà decidere se intervenire militarmente in una situazione di possibile rischio per i suoi funzionari e cittadini”.
Senza contare che il Venezuela, già fiaccato dalla crisi economica più pesante della sua storia, può rimanere senza entrate visto che l’unica significativa su cui può contare è rappresentata proprio dalla vendita di petrolio agli Stati Uniti. La decisione della Casa Bianca può inoltre avere conseguenze sugli attivi che di cui dispone negli Usa, come la Citgo, la compagnia petrolifera controllata dal paese caraibico, e i conti correnti statali e le transazioni che si realizzano in dollari. C’è però da considerare che il governo di Guaidò al momento non controlla alcun apparato dello Stato e l’incognita dei militari: senza il loro appoggio interno è difficile che le cose possano cambiare. Ecco perché la scorsa settimana il Parlamento ha approvato una legge che offre l’amnistia ai militari e civili che collaborino al ripristino dell’ordine costituzionale, sperando di innescare una frattura nell’appoggio a Maduro.
Già lo scorso lunedì le autorità venezuelane hanno fermato un gruppo di militari che, trincerati in una caserma di Caracas, avevano invitato la popolazione a ribellarsi contro l'”illegittimo” governo di Maduro. Il tutto è terminato con il loro arresto, mentre il ministro della Difesa venezuelano, generale Vladimir Padrino Lopez, ha dichiarato ieri in un tweet che le Forze Armate del suo paese “non accettano un presidente imposto da oscuri interessi o che si è autoproclamato a margine della legge”, confermando il suo appoggio a Nicolas Maduro. Le prossime ore saranno dunque decisive per il futuro del paese.