I giudici hanno stabilito che le misure per assicurare la protezione della salute e dell’ambiente devono essere messe in atto il più rapidamente possibile. A chiamarli in causa erano stati due ricorsi presentati nel 2013 e 1015 da 180 tarantini, lamentando gli effetti tossici delle emissioni e l’inefficacia dei rimedi italiani. E infatti la Corte censura i decreti Salva-Ilva
I cittadini di Taranto avevano ragione: l’Italia ha violato i diritti umani, mettendo in pericolo la loro salute a causa delle emissioni inquinanti dell’Ilva e i rimedi messi in campo dal governo sono stati inefficaci. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani accogliendo il ricorso di 180 persone che nel 2013 e 2015 avevano chiamato in causa i giudici di Strasburgo.
E ora – specifica la Corte, censurando i decreti Salva-Ilva che avevano garantito l’immunità penale (e la garantiscono tuttora ad ArcelorMittal, non essendo stati abrogati dall’esecutivo Lega-M5s) – le misure per assicurare la protezione della salute e dell’ambiente devono essere messe in atto il più rapidamente possibile. Per i 7 giudici europei, che hanno deciso all’unanimità, le autorità italiane hanno violato gli articoli 8 e 13 della Convenzione europea sui diritti umani.
Nella sentenza si sottolinea che la popolazione “resta, anche oggi, senza informazioni sulle operazioni di bonifica del territorio” e si evidenzia inoltre che i cittadini non hanno avuto modo di ricorrere davanti a un giudice italiano contro l’impossibilità di ottenere misure anti-inquinamento, violando quindi il loro diritto a un ricorso effettivo. Un riferimento chiaro ai decreti Salva-Ilva che hanno garantito la non punibilità penale. E pur rigettando la misura richiesta di fermare l’attività del siderurgico, la Corte ha chiesto che il piano anti-inquinamento sia messo in atto il prima possibile.
“La città ha ottenuto giustizia”, commentano la dottoressa Daniela Spera, promotrice del ricorso, e gli avvocati Sandro Maggio e Leonardo La Porta che hanno fornito assistenza legale ai 180 tarantini che si erano rivolti alla Corte di Strasburgo. Quasi tutti – la Corte ne ha esclusi 19 – avevano diritto di far causa e ora saranno risarciti con 5mila euro a testa per le spese legali.
“I ricorrenti hanno accusato lo Stato italiano di non aver adottato tutti gli strumenti giuridici e normativi necessari per garantire la protezione dell’ambiente e della salute – spiegano – Al contrario, le leggi emanate e susseguitesi nel tempo, hanno avuto il preciso scopo di tutelare, esclusivamente, gli interessi dell’Ilva”. E la Corte dei diritti umani ha dato loro ragione.