A Strasburgo una clamorosa sentenza della Cedu (Corte europea dei diritti dell’Uomo) ha fatto piazza pulita di anni di ambiguità e compromessi sulla pelle dei tarantini. Come una tribù da sacrificare in nome di superiori interessi economici, i tarantini sono stati privati del più elementare diritto umano: il diritto alla vita.

Ma vediamo nello specifico cosa è avvenuto. E lo facciamo con l’aiuto della Federazione Internazionale dei diritti dell’Uomo (FIDH), che in un comunicato scrive:

“Oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo ha pubblicato una decisione storica nel caso Cordella e altri c. Italia [1], in cui afferma che l’Italia ha violato gli articoli  8 (diritto al rispetto della vita privata) e 13 (diritto ad un rimedio effettivo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte sottolinea come l’Italia abbia omesso di proteggere i cittadini di Taranto dalle conseguenze drammatiche dell’elevato inquinamento causato dalle attività di Ilva, il più grande impianto siderurgico d’Europa. La decisione sottolinea inoltre che le vittime hanno subito un grave pregiudizio poiché il governo italiano ha autorizzato la prosecuzione delle attività industriali nonostante le diverse decisioni giudiziali che ne evidenziavano la pericolosità per ambiente e salute.”

Cosa succede adesso? Scrive la FIDH: “La Corte, quindi, afferma chiaramente che il governo deve porre immediatamente in atto le misure necessarie ad assicurare la protezione dell’ambiente e della salute dei cittadini di Taranto”.

Nell’aprile 2018 la FIDH, insieme al membro italiano Unione Forense Per La Tutela Dei Diritti Umani (UFDU) e ai partner Peacelink e HRIC ha pubblicato il report che denunciava la crisi ambientale e sanitaria legata allo scandalo Ilva e l’assenza di azione del governo italiano. Uno dei molti studi dell’Istituto superiore di Sanità sottolinea infatti come i bambini che vivono a Taranto abbiano la probabilità di ammalarsi di tumore del 54% più alta della media regionale, il 30% in più per gli uomini e il 20% per le donne.

“Le attività di Ilva hanno avuto e hanno un impatto terribile sull’ambiente e sulla popolazione di Taranto. Oggi la Corte europea dei diritti umani mette fine all’impunità di cui Ilva ha beneficiato sino ad ora. È tempo che il governo italiano ponga rimedio alla crisi ambientale di Taranto e rispetti i propri obblighi in materia di diritto alla vita e alla salute”, afferma Maddalena Neglia, responsabile dell’ufficio globalizzazione e diritti umani della Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH).

Le conseguenze dannose per l’ambiente e la salute delle attività di Ilva erano note al governo italiano almeno dagli anni 90. Tuttavia, l’adozione di misure preventive e riparatorie è stata deliberatamente ritardata, in flagrante violazione degli obblighi europei ed internazionali dell’Italia, annota la FIDH. Le organizzazioni firmatarie del report della FIDH hanno quindi chiesto al governo di adottare urgentemente tutte le misure necessarie a limitare e contenere il disastro ambientale e umano causato da Ilva.

Lo scandalo di questa vicenda risiede soprattutto nella mancata protezione della popolazione connessa a una mancata informazione.

I cittadini non sono stati informati della gravità della situazione. Ad esempio non vi è stata alcuna comunicazione della presenza di diossina prima dell’aprile 2005. E’ stata PeaceLink ad informare la popolazione che vi era diossina. Stessa cosa vale per la contaminazione della catena alimentare: non risultava contaminata da diossina. Questa è la documentazione. Erano state condotte dalle autorità sanitarie 72 analisi su diossina e PCB e tutto era “conforme”. Queste cose sono state mandate a Strasburgo. Non solo. Addirittura 17 ricerche condotte su Taranto non sono mai state rese note, eppure contenevano dati di particolare gravità. Ecco la documentazione.

Vi erano state ricerche condotte dall’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL) dal titolo “Impatto sulla salute di particolari condizioni ambientali e di lavoro, di provvedimenti di pianificazione territoriale”, fra il 2002 e il 2007. Ma tali ricerche sono state rese note perché richieste da PeaceLink nel settembre del 2008. Altrimenti rimanevano nel cassetto.

In queste ricerche era emerso che i livelli di IPA cancerogeni avevano toccato picchi pericolosi per la salute (i dati sono contenuti qui).

L’ISPESL pur avendo realizzato a Taranto tali studi, li aveva mantenuti per molto tempo non pubblici. In essi risultava che a Taranto nel sito di via Orsini (quartiere Tamburi), vi era un accumulo di benzo(a)pirene nei giorni dal 2 al 5 marzo 2004 con un picco allarmante il giorno 4 marzo di 67 ng/m3. Cosa significa tutto ciò se convertiamo i valori di benzo(a)pirene in sigarette? Significa che il 4 marzo 2004 i bambini del quartiere Tamburi di Taranto, respirando, hanno inalato benzo(a)pirene per un equivalente di 128 sigarette!

“Questa decisione della Corte restituisce dignità a Taranto e ai suoi cittadini, soprattutto a coloro che abitano nel quartiere più coinvolto dei Tamburi. A questo punto il governo italiano ha l’obbligo di risarcire I cittadini di Taranto che hanno subito un danno a causa di un’attività non conforme alla Convenzione. Oggi Strasburgo afferma con forza che le imprese devono rispettare I diritti fondamentali, senza eccezione!” conclude l’avvocato Anton Giulio Lana, Presidente della UFDU.

L’azione a Strasburgo è stata condotta dallo studio legale internazionale Saccucci&Partners mentre la sentenza si può scaricare da qui

Fondamentale è stato il supporto di varie associazioni, in particolare Legamjonici, e di persone particolarmente tenaci e attive, in particolare Lina Ambrogi Melle, una docente di Taranto. Quello che ci si attende adesso è una riconsiderazione della legittimità della cosiddetta “immunità penale” per i gestori dell’Ilva, istituita dal governo Renzi e riconfermata da questo governo.

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