Nella gestione dell’Ilva l’Italia ha violato i diritti umani dei cittadini di Taranto e quindi dovrà fare appello oppure conformarsi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo. In questo secondo caso, tra i vari adeguamenti che verrebbero richiesti ci sarebbe quello di cancellare l’immunità penale concessa dal governo Pd prima ai commissari straordinari e poi ai vertici di Arcelor Mittal. E il governo dovrebbe anche rivedere e accorciare, insieme all’azienda, i tempi di allineamento all’Autorizzazione integrata ambientale. Due condizioni che esporrebbero l’esecutivo al forte rischio di incorrere in una responsabilità contrattuale che potrebbe anche portare alla risoluzione del contratto e quindi alla richiesta da parte di Arcelor Mittal di un maxi-risarcimento.
La decisione dei giudici di Strasburgo – La sentenza mette Roma di fronte alle omissioni da sempre denunciate dagli abitanti del capoluogo ionico e soprattutto di fronte al punto cruciale di aver sacrificato sull’altare della produzione siderurgica la salute dei lavoratori dell’Ilva e dei cittadini. Ma i giudici di Strasburgo hanno bocciato anche la modalità con cui l’Italia ha operato dal 2012 in poi: un ricorso costante all’uso di decreti legge che la Cedu ha pesantemente censurato. E questo significa che “ora il governo italiano è tenuto ad adeguarsi – spiega l’avvocato Leonardo La Porta che insieme al collega Sandro Maggio ha assistito Daniela Spera, promotrice del primo ricorso alla Cedu nel 2013 – visto che la Cedu ha riconosciuto una violazione“. “Ma è chiaro che bisognerà attendere che la sentenza diventi definitiva”, specifica il legale: l’Italia, infatti, ha facoltà di presentare appello alla Grande Camera entro tre mesi da oggi.
Cosa farà il governo? – Sulla vicenda Ilva le posizioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini erano diametralmente opposte: il leader del Carroccio ha sempre dichiarato di essere favorevole all’Ilva aperta mentre in campagna elettorale il Movimento 5 stelle fece incetta di voti a Taranto, eleggendo 5 parlamentari, permettendo il percorso di chiusura e riconversione delle fonti inquinanti poi naufragato una volta al governo per l’accordo già sottoscritto dall’esecutivo Gentiloni con la nuova proprietà indiana di Arcelor Mittal. Inoltre, ricorrere contro questa decisione della Corte significherebbe difendere i numerosi decreti dei governi targati Pd contro i quali proprio i grillini si sono scagliati per anni.
La questione dell’immunità penale – Se la sentenza diventasse definitiva, si aprirebbero però diversi scenari. La Cedu infatti ha individuato nel comitato dei Ministri, organo esecutivo del Consiglio d’Europa composto dai ministri degli Esteri dei Paesi membri con compiti di vigilanza, l’istituzione che dovrà monitorare il percorso di adeguamento dell’Italia ai dettati della sentenza. Un compito che potrebbe essere svolto da un “commissario ad acta” nominato dal Comitato. Ed è evidente che tra i vari adeguamenti, il primo sarebbe quello di cancellare l’immunità penale concessa dai precedenti governi prima ai commissari straordinari e poi ai vertici di Mittal. Un dettaglio non trascurabile dato che quel “salvacondotto” è parte integrante del contratto siglato tra azienda e governo. L’Italia, quindi, se davvero dovesse eliminare questo scudo, rischia di incorrere in una responsabilità contrattuale che potrebbe anche portare alla risoluzione del contratto e quindi alla richiesta da parte di Arcelor Mittal di un risarcimento delle spese affrontate e del mancato guadagno futuro.
La questione ambientale – Ma non è l’unico. Perché la sentenza ha puntato il dito anche contro i tempi troppo lunghi dell’adeguamento all’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale: lo Stato dovrebbe rivedere l’intero piano ambientale insieme all’azienda che, però, potrebbe resistere perché gli accordi concedevano tempo fino al 2023. “Il piano di ambientalizzazione fatto dal governo Pd – spiega Daniela Spera – noi non lo conosciamo e la corte su questo punto è stata chiara: i cittadini hanno il diritto di sapere a che punto sono le opere di ambientalizzazione. E soprattutto è doveroso verificare se le misure, una volta completate, saranno davvero in grado di tutelare la salute dei tarantini”.