Un cineasta che dall’alieno ET era passato alle fruste di Indiana Jones, che si era infilato nelle enormi fauci di un finto Squalo e capitolato tra gulliveriane sproporzioni in Hook, di notte montava il mirabolante Jurassic Park e intanto di giorno sul set in Polonia girava la storia di un ricco industriale tedesco che tra il 1942 e il 1945 aveva realmente salvato dalla morte nei campi di concentramento 1100 ebrei
“La lista è vita”. 25 anni fa nei cinema italiani uscì Schindler’s list di Steven Spielberg. Giusto il tempo di aver seguito clandestinamente la Notte degli Oscar, durante la quale il film portò a casa sette statuette (tra cui miglior film e regia), per rendersi conto di cosa era riuscito clamorosamente a fare Spielberg. Il regista hollywoodiano più “compromesso con un’idea ludica e infantilmente fantasiosa del cinema” aveva girato un film indimenticabile sulla memoria storica del ‘900 e sull’inqualificabile orrore dell’Olocausto. Un cineasta che dall’alieno ET era passato alle fruste di Indiana Jones, che si era infilato nelle enormi fauci di un finto Squalo e capitolato tra gulliveriane sproporzioni in Hook, di notte montava il mirabolante Jurassic Park e intanto di giorno sul set in Polonia girava la storia di un ricco industriale tedesco che tra il 1942 e il 1945 aveva realmente salvato dalla morte nei campi di concentramento 1100 ebrei.
Si racconta che il film Spielberg lo avesse tra le mani fin dal 1982, quando il libro omonimo di Thomas Keneally uscì. All’epoca 36enne e fresco del successo di ET, il regista americano sembrò non sentirsi all’altezza di una così brutale e delicata inversione di marcia nella propria ancora breve carriera. Diverse fonti confermano che il progetto passò di mano in mano tra Roman Polanski (che poi girerà Il Pianista, chiaramente una storia più intimamente e individualisticamente polanskiana) e Martin Scorsese, tra Sydney Pollack e perfino da un commediante all’epoca molto anziano come Billy Wilder. Infine ritornò a Spielberg che scelse un basso profilo attoriale (Ralph Fiennes e Liam Neeson erano ancora parecchio sconosciuti, soprattutto il primo) e dedicò una cura maniacale a tutti gli aspetti tecnici e formali da autentico auteur (da qui, va detto, ancora oggi le riviste specializzate francesi piazzano Spielberg nelle top ten dell’anno, ca va sans dire).
Schindler’s list venne girato durante la primavera del 1993 su un finto set/lager ricreato vicino Cracovia in base alla piantina del vero campo di concentramento di Plaszow. Con un budget di 22 milioni di dollari il film ne incassò quasi 100 solo negli Stati Uniti e arrivò a quasi 150 milioni in Europa. Tanti gli aneddoti sul film e sul libro, a partire dalla casualità con cui Keneally entrato in un negozio di Los Angeles per comprare una valigia ne uscì con la storia dell’industriale appartenente al partito nazista che nel corso degli anni salvò centinaia di ebrei, raccontatagli dal proprietario del negozio, Leopold Page, uno dei salvati da Schindler; fino ad un impeccabile artificio retorico, qui davvero esercitando tutta la possibile “fantasia” anche un po’ ingenua spielberghiana, nel ricreare la figura del contabile silente e buono Itzhak Stern, interpretato da un monumentale Ben Kingsley, che nelle realtà fu un ambiguo tizio corruttibile, criticato dagli stessi sopravvissuti, di nome Goldberg.