L'esecutivo si rimangia l'accordo con i sindacati ed estende il vincolo di permanenza a tutti coloro che saranno assunti il prossimo settembre. Da un lato sembra un provvedimento di buon senso, dall'altro sacrifica il diritto degli insegnanti a un lavoro il più possibile vicino casa. Gissi (Cisl): "Nessuno mette in dubbio il principio, ma così stanno cambiando le carte in tavola con un colpo di mano”
Fermi nella stessa scuola in nome della continuità didattica. O “prigionieri” per anni di una cattedra. Questione di punti di vista: il governo si rimangia l’accordo coi sindacati firmato giusto poche settimane fa e stabilisce che dal prossimo settembre i docenti dovranno restare più a lungo nello stesso istituto. Il vincolo di permanenza passa da tre a cinque anni (ma non per tutti, per il momento solo per i neoassunti).
La norma è contenuta in un emendamento al Dl semplificazioni in corso di esame al Senato: all’art. 10 comma 2-octies si prevede che il vincolo quinquennale appena stabilito per i neoassunti dall’ultima legge di bilancio sia esteso “al personale docente ed educativo di ogni ordine e grado di istruzione, qualunque sia la procedura utilizzata per il reclutamento”. È questa appunto la “semplificazione” (da cui l’inserimento nell’omonimo decreto): dopo gli ultimi interventi esistevano vincoli diversi a seconda della tipologia di insegnante, 5 anni per i neoassunti alla secondaria e per il sostegno, 3 anni per gli altri. Il governo ha deciso di uniformare tutto alla soglia più alta. Messa così, sembra anche un provvedimento di buon senso. In realtà la situazione resterà un po’ più complicata del previsto e di sicuro non farà felice i diretti interessati.
La mobilità (a volte eccessiva) è una delle grandi questioni dibattute nella scuola italiana, tra l’esigenza di garantire la continuità didattica e quella di accontentare il diritto degli insegnanti a un lavoro il più possibile vicino casa. È frequente, infatti, che maestri e professori sentano il bisogno di spostarsi: o perché al momento dell’assunzione devono accontentarsi del primo posto disponibile (in paesini o comuni limitrofi), oppure per sopravvenute esigenze familiari o per il semplice desiderio di cambiare istituto o materia di insegnamento. Questo però porta anche ad avere più caos negli istituti e estati convulse per gli uffici ministeriali.
Un vincolo di permanenza esiste da sempre ed è sempre stato triennale: sulla provincia, col vecchio testo unico del ’94, e poi sull’ambito (dei “distretti” di varia dimensione che comprendono più istituti), l’invenzione renziana introdotta dalla Legge 107. Altrettanto spesso, però, a questo vincolo sono state previste delle deroghe, addirittura tre volte negli ultimi tre anni, proprio per mitigare gli effetti della Buona scuola (e la famosa “deportazione dei docenti” causata dal piano straordinario di assunzioni): i sindacati hanno chiesto e ottenuti degli accordi per delle finestre di mobilità straordinaria, che nelle ultime estati hanno permesso a migliaia di docenti di riavvicinarsi a casa. Questo ha però anche causato la solita girandola nelle scuole, a cui il governo ha deciso di porre un freno con un provvedimento decisamente più restrittivo.
La misura fa parte del maxiemendamento governativo, ma non è difficile immaginare chi l’abbia voluta: quello del vincolo più alto è sempre stato uno dei cavalli di battaglia della Lega, visto che la mobilità ha quasi sempre direzione Nord verso Sud e sfavorisce le Regioni settentrionali che si ritrovano spesso sguarnite. Ora chi prende servizio in una scuola dovrà restarci per almeno 5 anni, e questo sicuramente aiuterà la continuità didattica e diminuirà i trasferimenti estivi. Il nuovo vincolo, però, non varrà proprio per tutti: solo a fine dicembre, infatti, sindacato e ministero avevano firmato l’ultima pre-intesa sulla mobilità 2019 in cui si parla di “contratto triennale” e che rimarrà in vigore.
In teoria, dunque, chi sarà assunto il prossimo settembre avrà un vincolo di 5 anni, chi chiederà e otterrà il trasferimento solo di 3. Restano comunque una serie di incognite: l’accordo sulla mobilità ha ancora alcuni nodi in sospeso, se dovesse essere riaperto per chiarire questi punti il governo potrebbe approfittare per far valere la nuova legge e portare il vincolo a 5 anni anche per i trasferimenti. Infatti i sindacati sono già in allarme: “Nessuno mette in dubbio il principio della permanenza, ma così il governo sta cambiando le carte in tavola con un colpo di mano”, attacca Maddalena Gissi, segretaria della Cisl scuola. “Stanno cercando di svuotare la contrattazione, né più né meno di come aveva fatto Renzi o addirittura Brunetta”. La modifica però è intanto stata approvata: da oggi il vincolo di permanenza di base è di 5 anni. Starà ai sindacati provare a strappare condizioni più favorevoli negli accordi di mobilità.
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