di Paolo Pini (economista, Università di Ferrara) e Daniele Rinaldi (fisico, Università Politecnica delle Marche)
Le pubblicazioni scientifiche necessarie per l’accesso alla carriera universitaria sono oggi legate al conflitto di interessi di un giro d’affari fatto di riviste esclusive e citazioni, che finisce inevitabilmente per peggiorare la qualità della ricerca accademica
La pubblicazione degli articoli scientifici, frutto della ricerca con risorse pubbliche, non è un tema meramente editoriale, anche se coinvolge il mondo dell’editoria internazionale. Come avviene con tutto ciò che può avere un mercato, gli articoli scientifici sono anche prodotti commerciali. Inoltre, essendo una forma di comunicazione, modificano e influenzano il mondo attorno a sé.
Il primo aspetto non è di poco conto, come ha notato Andrea Capocci su il manifesto (25/11/18). Sottolinea Capocci: esistono due tipi di riviste che alimentano un giro di affari enorme. Vi sono quelle che pubblicano gratuitamente, previa “revisione” di esperti. Sembra tutto bene, senonché gli autori devono cedere i diritti d’autore alla rivista stessa, da cui segue che gli articoli scientifici prodotti con ingenti risorse pubbliche diventano proprietà privata, e le stesse università per le quali lavoriamo devono comprare sul mercato editoriale il frutto dell’impiego delle loro risorse. Le riviste scientifiche sono iperspecializzate, quindi molto numerose, e abbonarsi è costosissimo per le università che devono rimanere aggiornate su una produzione scientifica sempre più vasta ed eterogenea.
Il secondo tipo comprende le riviste free access, che tutti possono consultare e scaricare, ma che obbligano i ricercatori a pagare, spesso con fondi pubblici, una quota che è tanto più alta quanto più la rivista è prestigiosa: 5 o 10mila euro non sono certo cifre che singolarmente tutti possono permettersi per quattro o cinque pubblicazioni annue. In tal caso sono favoriti grandi gruppi di ricerca: chi può lavorare con molte collaborazioni, chi ha più risorse, spesso recuperabili lavorando con l’industria su progetti di ricerca incrementale di più facile successo e dalle ricadute immediate. La ricerca pura, teorica, radicale, sulla frontiera della conoscenza, con esiti e ricadute incerte e lontane nel tempo non è certo favorita. Del resto, publish or perish: se non pubblichi tanto e presto e su riviste prestigiose, non fai carriera.
In tale processo emerge un’ulteriore questione, quella dei referee, cioè di coloro che vagliano i lavori scientifici degni di essere pubblicati. Anche costoro prestano la loro opera (tempo e competenze) in modo pressoché gratuito e sono reclutati nell’università tra gli stessi che pubblicano articoli in un determinato settore scientifico, e spesso tra gli autori che hanno pubblicato sulla rivista scelta dal ricercatore che sottopone il lavoro. Da un lato siamo redattori di articoli scientifici, dall’altro siamo valutatori per riviste e editori: un doppio lavoro generalmente duro che affrontiamo tutti con serietà, ma che comporta esso stesso risorse pubbliche.
Accade anche che i ricercatori più prestigiosi all’apice della carriera generalmente rifiutino un lavoro complesso di revisione che non dà loro più alcuna soddisfazione né economica né di prestigio. Capita sempre più sovente che svolgano questo compito persone piuttosto giovani, non necessariamente molto qualificate e con ampie conoscenze, vista la sempre più selvaggia specializzazione. La pubblicazione o il rifiuto di un lavoro dipendono a volte dalla sorte, piuttosto che dalla qualità intrinseca. La ricerca di eccellenza si dimostra a volte effimera, piuttosto volta non tanto ad accrescere la qualità della stessa, ma funzionale a un processo di selezione tra metodologie, paradigmi, aree e campi di ricerca.
A fronte di ciò vi sono affari enormi: infatti, pochissime case editrici dominano un mercato sempre più concentrato, oligopolistico, producendo le riviste più prestigiose. Il prestigio è determinato dall’Impact factor (If), che è desunto dal numero di citazioni ricevute dagli articoli della rivista. Il meccanismo, pensato come di per sé virtuoso, sappiamo essere distorto a causa di comportamenti non sempre morali, a volte persino illeciti, che secondo alcuni rendono “dopato” il mercato. In aggiunta, le riviste free access entrano a sparigliare il gioco, perché permettono ai ricercatori di trovare gli articoli da citare senza alcuna restrizione, aumentando If e prestigio delle riviste ad accesso libero, ove però paghi per pubblicare.