La sintonia tra i due era ormai venuta meno molto tempo fa. Ora però il divorzio tra Pablo Iglesias, leader di Podemos, e Íñigo Errejón – co-fondatore, ex numero 2 e fino a pochi giorni fa candidato di Podemos per la Comunità di Madrid alle elezioni locali di maggio – è un fatto consumato, sigillato dalle dimissioni di Errejón da deputato avvenute lunedì. A provocare la rottura è stata la lettera aperta pubblicata da quest’ultimo insieme a Manuela Carmena, popolarissima sindaca di Madrid, che a 75 anni si ricandiderà alla guida della città con chance altissime di bissare il successo. Nella lettera, i due annunciano l’estensione alla Comunità della piattaforma Más Madrid che Carmena guida a livello municipale, in quello che in molti hanno letto come un tentativo da parte di Errejón di distanziarsi dal marchio di Podemos e poter disporre più liberamente della propria candidatura. E forse persino di mettersi successivamente in proprio su scala nazionale.

Ma andiamo con ordine. Cos’è successo al partito che tra il 2014 e il 2015 sembrava aver rivoluzionato la politica spagnola e che negli ultimi anni è andato a incagliarsi nelle secche delle ripicche e del settarismo? A esattamente cinque anni dalla sua fondazione, Podemos non risveglia più quell’emozione che aveva permesso l’irruzione nell’agone politico di un movimento originariamente composto da non più di 50 persone. Se lo si domanda alla gente comune, se si spulciano i forum, il disincanto è lampante. Tuttavia la faccenda, nonostante i media abbiano insistito a lungo su una chiave di scontro personalistico, ha origini politiche.

Facendo leva sul fermento sociale innescato dalle mobilitazioni degli Indignados, l’iniziale successo di Podemos si doveva a un richiamo trasversale, capace di coinvolgere anche chi di sinistra non era mai stato. Grazie a un linguaggio del tutto nuovo che riscattava termini come patria, centrava le questioni dirimenti e metteva in rilievo la dicotomia tra popolo e casta (quest’ultima intesa come l’insieme delle élite politiche ed economiche), la formazione viola aveva rotto con le liturgie della sinistra, evitando di collocarsi lì dove per il nemico era stato storicamente facile neutralizzarla. Autore di questa strategia gramsciana e nazionalpopolare era stato proprio Íñigo Errejón, coordinatore delle prime campagne elettorali di Podemos. Il tandem Iglesias-Errejón funzionava alla perfezione: il primo fungeva da ariete di sfondamento grazie a una disinvoltura inedita negli studi televisivi, il secondo era il teorico erudito in grado di escogitare le chiavi discorsive più adatte alla congiuntura.

Nel 2016, la concordia svanisce e il meccanismo si inceppa. Dopo aver sfiorato il sorpasso del Partito socialista nella tornata di dicembre 2015, Podemos stringe un accordo elettorale in vista della riedizione delle elezioni politiche nel 2016 con Izquierda Unida, la federazione della sinistra radicale guidata dal Partito comunista spagnolo. Non solo la loro unione è fallimentare giacché ottengono un milione di voti in meno di quelli ottenuti ciascuno per conto proprio, ma il matrimonio presuppone un ritorno alla comfort zone della sinistra, ai suoi ritornelli, alle sue parole d’ordine.

In parallelo, altri due avvenimenti rendono Podemos via via più marginale:
1. da un lato l’escalation del conflitto catalano polarizza gli animi, o pro o contro l’indipendenza catalana, e qui Podemos paga dazio per aver adottato invece una posizione più sfumata, con la quale legittima il referendum ma chiede ai catalani di rimanere con la Spagna per costruire insieme un Paese migliore;
2. dall’altro, la dinamica interna di Podemos prende il sopravvento, regalando all’elettorato l’impressione che all’inizio aveva voluto scongiurare: quella del classico partito di sinistra avvitato su se stesso, preda di furibonde liti e rappresaglie interne.

Questo processo culmina con il secondo congresso interno a inizio 2017: l’opzione di Errejón, la cui tesi punta a recuperare la mistica iniziale ispirata a un richiamo a tutto campo, perde sonoramente contro Iglesias, che si conferma leader indiscusso del partito. Tutta la dirigenza cambia e ad attorniare Iglesias non ci sono più quelli della prima ora, ma militanti provenienti dal Partito comunista che, attratti dal recupero di un vocabolario più identitario, confluiscono massicciamente in Podemos. A Errejón viene lasciata la possibilità di concorrere per la Comunità di Madrid, ma viene progressivamente marginalizzato e i suoi collaboratori sono falcidiati da purghe continue in un clima da caccia alle streghe.

Nel frattempo, la china di Podemos è sempre più marcata: la fidanzata di Iglesias, Irene Montero, viene catapultata a numero 2 del partito, l’autocritica diventa merce rarissima, la retorica di Iglesias è sempre più aggressiva e seduce ormai solo i fedelissimi. Sino all’episodio dell’acquisto di una casa di lusso da parte della coppia Iglesias-Montero dopo aver predicato l’esatto contrario per anni, divenuto oggetto di mille polemiche poi sedate attraverso un referendum interno in pieno stile plebiscitario.

E ora? È ormai da parecchio tempo che i sondaggi non annunciano nulla di buono per Podemos. La collaborazione competitiva con il Partito socialista, dapprima ventilata da Errejón nel 2016 e infine adottata da Iglesias nel 2018 per far cadere il governo di Mariano Rajoy, non sta riscuotendo i risultati sperati. Le elezioni andaluse hanno fatto suonare un campanello d’allarme, con il partito di estrema destra Vox in forte ascesa e Podemos, al contrario, in discesa libera, a cui ha fatto seguito un confuso appello antifascista da parte di Iglesias.

Errejón, preoccupato dal fascino decrescente del partito viola, ha pensato di svincolarsi una volta appurato che la sua numero 2 in lista gli veniva imposta dall’alto, cercando il tandem con la sindaca madrilena. Podemos, che al municipio appoggia Carmena, ha risposto che presenterà una candidatura alternativa per la Comunità di Madrid. Come andrà a finire? In Spagna, il “momento populista” non sembra essere ancora concluso, come era invece apparso per una breve finestra temporale. Ma per articolare il malcontento, c’è bisogno di maggiore inventiva e originalità politica. Riuscirà Errejón a ricreare quel clima di fermento a partire da Madrid?

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