Non mi è del tutto chiaro cosa ci faccia quel galantuomo di Roberto Fico nel partito dei giggini, detti grillini prima che lo stesso Grillo cominciasse a dare lievi segni di insofferenza per certe sue creature. Ma so che nel ruolo di presidente della Camera Fico dimostra una correttezza e una sobrietà che non sono esattamente il segno distintivo della maggioranza, né per la verità di molta opposizione. Non essendo un fasullo come tanti suoi colleghi, ha ricordato il terzo anniversario dell’assassinio di Giulio Regeni con un gesto non retorico e in controtendenza: ha chiesto solidarietà all’Europa. Agli altri Parlamenti europei, essendo quelli i suoi interlocutori istituzionali. Non credo sperasse di ricavarne molto: in tempi di sovranismi, figuriamoci. Ma raccogliesse anche poco, quell’appello ci ha ricordato un paio di cose.

Giulio Regeni era un cittadino europeo, figlio di una civiltà politica cosmopolita e aperta che oggi rischia di essere travolta come travolta fu la vita del ricercatore: non è solo l’Italia, ma l’Europa tutta che dovrebbe sentirlo figlio prediletto. E poi: dovremmo finalmente prendere consapevolezza che da sola l’Italia, così come ogni singolo Paese europeo, nel mondo conta poco. Fin quando a difenderne diritti e interessi non sarà un’Unione rifondata e dotata di una politica estera, saremo nel gregge che la storia trascina, belante e pauroso.

Al più potremo mascherare la nostra debolezza meglio di quanto abbiano fatto i nostri ultimi governi nell’Egitto di al Sisi. Dove ci fingiamo grande potenza, leviamo severi moniti (non permetteremo!, non rinunceremo!) ma nei fatti permettiamo e rinunciamo come una Banana Republic, e sussurrando nell’orecchio del despota: Eccellenza per carità, non se la prenda a male se facciamo un po’ di teatrino ad uso e consumo della nostra opinione pubblica… E Sua Eccellenza ci accontenta, condiscendente, amichevole verso le nostre ditte. Di quando in quando ci regala perfino una battuta ad effetto. L’ultima è la più sinistra: Regeni uno di noi, ha detto a Giggino, che, improvvido, l’ha riferita ai giornali per convincerli che al Sisi poi non è così cattivo (‘Quel fottuto assassino’, lo chiama Trump in privato, racconta un biografo del presidente americano).

Ovviamente Regeni, ridotto in fin di vita da chi lo ‘interrogava’ e divenuto perciò ingombrante, non poteva essere finito senza il beneplacito del ‘Fottuto assassino’. E questi deve aver calcolato che era rischioso portare in ospedale un occidentale forse in grado di sopravvivere e di testimoniare. Malgrado questa ricostruzione sia altamente probabile, in via ufficiale i governi italiani continuano a sollecitare la verità proprio al ‘Fottuto assassino’. E così lo assolvono: se lo considerassimo coinvolto non gli chiederemmo chi è stato. Un anno fa andava forte sulla nostra stampa una variante più contorta: Regeni manovrato e immolato dai servizi segreti britannici con l’obiettivo di rovinare le relazioni tra Roma e al Sisi e sottrarre all’Eni immensi giacimenti di gas. Chissà che il nostro giornalismo non si accorga che a temere la concorrenza dell’Eni poteva essere semmai una certa consorteria egiziana che oggi importa gas israeliano e lo rivende allo stato a prezzi esorbitanti, fuori mercato, attraverso lo schermo di una società di comodo. La società si chiama East gas, opera in joint-venture con l’americana Noble e l’israeliana Delek, e non è altro che la copertura del General Intelligence Directorate, delle tre polizie segrete del regime l’unica che risponda direttamente ad al Sisi. Quella che prese in consegna Regeni.

Qui si potrebbe immaginare che gli spioni di al Sisi abbiano fatto ritrovare il corpo del ricercatore proprio per mettere in guardia l’Eni, affinché non disturbasse i progetti di quei generali in affari (e in subordine per lanciare un messaggio generico agli occidentali, con i quali al tempo dell’amministrazione Obama i rapporti erano molto circospetti). Possibile, però non va dimenticato che i regimi fondati sul terrore procedono sempre in automatico: esporre come trofei di caccia i cadaveri delle sue vittime è la procedura standard della dittatura egiziana, il suo metodo. Sul fascicolo che riguarda il delitto potrebbe essere scritto ‘Regeni + 1500’, tanti sarebbero gli egiziani morti sotto tortura e riconsegnati nello stesso modo.

Oggi potremmo chiederci perché dei 1500 ci siamo accorti solo dopo l’uccisione di un italiano. Ma ovviamente non lo faremo. Leveremo i severi moniti, giureremo che mai rinunceremo, e magari, chissà, un pensatore chiamato Dibba ci spiegherà che è colpa di Macron. E ovviamente in calce a questo blog leggeremo commenti da cui risulterà, blogger dei nostri stivali, che il Popolo non la beve, al Sisi è il baluardo contro l’islam, e Regeni uno sprovveduto manovrato dai nemici dell’Italia, se l’è andata a cercare, perché non è rimasto a a casa?, e così trolleggiando, per sbocchi di fiele, per atti di fede, per personalissimi rancori. Perfino per lavoro: nel secondo anniversario dell’omicidio qualcuno commentò un mio pezzo otto volte in dodici ore, e sempre per ribadire che era tutta colpa degli inglesi. Ossessionato o stakanovista?

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