Allarme del procuratore generale Fuzio all’inaugurazione dell’anno giudiziario: “Si indebolisce la figura del magistrato”. Aumenta del 17% la durata del primo grado nel penale. Diminuisce l’arretrato civile. "Ok alla riforma della prescrizione ma da sola non basta". Mammone: "Evitare regressione sui diritti umani"
Continua a ridursi il contenzioso civile mentre si allungano i tempi dei procedimenti penali. E un quarto dei processi si prescrive in Appello. Sono i numeri della giustizia italiana contenuti nel discorso tenuto dal presidente della Cassazione, Giovanni Mammone, per l’apertura dell’Anno giudiziario. Approfittando della presenza delle massime cariche dello Stato, il procuratore generale della Suprema corte, Riccardo Fuzio, ha colto per parlare delle tante inchieste che negli ultimi tempi hanno coinvolto direttamente le toghe. “Suscita allarme la gravità e la frequenza degli episodi che di recente hanno visto coinvolti diversi magistrati, perché ciò determina un indebolimento della fiducia dei cittadini nell’indipendenze e imparzialità della funzione penale”, ha detto Fuzio, avvertendo che non si può “delegittimare il pubblico ministero nè tanto meno il giudice nel momento in cui emette la decisione”.
“Il 25% dei processi si prescrive in Appello” – Sul fronte statistico, invece, il presidente della Cassazione ha spiegato che “la durata media dei procedimenti nell’anno giudiziario 2017- 2018 è cresciuta in primo grado del 17,5% da 369 a 396 giorni, mentre l’appello ha registrato una riduzione del 3,4% dei tempi di definizione da 906 a 861 giorni, pur attestandosi su elevati valori assoluti dai quali verosimilmente deriva il notevole tasso di incidenza delle prescrizioni nel grado, pari al 25% circa (25,8% nel 2017 e 24,8% nel primo semestre del 2018) del numero dei procedimenti definiti dalle Corti di appello”. Significa che un quarto dei processi si prescrive durante il secondo grado di giudizio.
“Riti alternativi poco appetibili” – Per quanto riguarda il numero dei procedimenti penali nei confronti di autori identificati pendenti al 30 giugno 2018 è diminuito del 4,1 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Parimenti sono diminuiti anche i nuovi procedimenti iscritti (-2,6%) e quelli definiti (-4,7%). Gli uffici gip/gup definiscono con riti alternativi soltanto il 9% del contenzioso (6% per patteggiamenti e giudizi abbreviati, 3% per decreti penali irrevocabili), a riprova “della scarsa appetibilità” di tali soluzioni, e circa l’11 % con rinvio a giudizio, “a conferma della efficace funzione di filtro svolta”. Per quanto riguarda il giudizio di appello, buona parte dei quasi due anni e mezzo che esso attualmente richiede sono imputabili a “tempi di attraversamento” che nulla hanno a che vedere con la celebrazione del giudizio. Si tratta di tempi di attesa degli atti di impugnazione, predisposizione dei fascicoli da trasmettere alla Corte d’appello, e altre incombenze di carattere procedurale che “consumano” in buona parte il tempo processuale. “Lo snellimento delle procedure – sottolinea Mammone -, l’attribuzione di maggiori risorse umane e tecnologiche e un migliore utilizzo di esse potrebbe ridurre drasticamente la durata media del secondo grado”
“Non hanno ancora inciso le riforme” – Nonostante tutto il presidente della Suprema corte rileva la “diminuzione dei casi di prescrizione che nella maggioranza dei casi matura nel giudizio di appello e nella fase di indagini preliminari”. Della prescrizione si sono occupate due recenti riforme: una del governo di centrosinistra, che ne ha disciplinato lo stop per 18 mesi dopo il primo grado, e una dell’esecutivo M5s-Lega che invece la congela completamente dopo la prima sentenza. “Al riguardo – ha aggiunto – Non hanno ancora inciso le sospensioni di 18 mesi per ciascun grado di giudizio introdotte con la riforma del codice penale applicabili per i reati commessi dopo il 3 agosto 2017.
“Contenzioso civile in calo” – Diversi i dati del settore civile. “Ul numero dei procedimenti pendenti si presenta in diminuzione secondo un trend che negli ultimi anni è sempre stato costante, passando dai circa 6 milioni del 2009, ai poco più di tre milioni e seicentomila al 30 giugno 2018, con una percentuale di riduzione del 4,85% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”, ha detto Mammone spiegando che “nel periodo luglio 2017 – giugno 2018 le nuove iscrizioni si sono ridotte dinanzi ai tribunali, mentre dinanzi ai giudici di pace ed alle corti di appello sono rimaste sostanzialmente stabili”.
“Non basta riformare la prescrizione da sola” – Di prescrizione ha parlato pg Fuzio, secondo il quale “se riformata da sola, avrebbe sul sistema effetti la cui positività è quantomeno dubbia. Una riforma della prescrizione difficilmente può concepirsi senza una prospetti a sistematica e globale dell’istituto e difficilmente può prescindere da interventi di sistema sul processo penale. È corretto ricercare antidoto volti ad evitare che il batterio della prescrizione corroda la vicenda processuale dopo la pronuncia della sentenza di primo grado , ma sostenendo sistematicamente tale interventi con altri riguardanti l’intero processo“. Fuzio ha anche commentato gli interventi legislativi sulla giustizia “debbono cessare di essere rapsodici, emotivi, privi di una ratio a tutto tondo e di spirito di sistema”. Il pg ha parlato di interventi “a volte centrati sull’aumento delle pene come risposta epidermica e reattiva a situazioni di emergenza, e altre volte sull’adozione di complessi normativi incidenti sull’effettività della pena, come risposta ad altre esigenze eccentriche”, come il sovraffollamento carcerario.
La carica delle toghe rosa – Oggi è in magistratura il 53,1% di donne sulla popolazione professionale in servizio. Nel 2017 le magistrate erano il 52%. Il dato è contenuto sempre nella relazione del Procuratore generale della Cassazione. Tra l’altro, ha annotato ancora il pg di piazza Cavour, “in continuità rispetto al passato, la maggior incidenza di incolpazione è nei riguardi di magistrati del genere maschile, nettamente superiori rispetto a quelle a carico di magistrati del genere femminile: nel 2018 il dato si attesta nel 66,4% per gli uomini e nel 33,6% per le donne.
Il dato è incoraggiante se si considera che l’ingresso delle donne in magistratura in Italia risale al 1963, quando la legge 66 regolamentò “l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni”. Il primo concorso aperto alle candidate donne fu indetto nel maggio dello stesso anno, e risultarono idonee otto candidate su 187 (i posti messi a concorso erano 200). La Corte Costituzionale dal 1960 aveva aperto una parte delle carriere.
“Evitare regressione sui diritti umani” – Mammone ha anche lanciato un monito sul fronte migranti. “Bisogna evitare ogni regressione in materia di diritti umani è un compito che si è dato la comunità internazionale. È compito degli Stati moderni apprestare strumenti idonei per dare risposte alla richiesta di tutela che gli individui, cittadini e non, richiedono per i loro diritti”. A questo proposito il vicepresidente del Csm, David Ermini ha parlato di un “carico insostenibile di procedimenti, non comparabile, per le sue dimensioni, con quelli delle altre corti supreme europee” relativo ai “procedimenti in materia di protezione internazionale ed immigrazione”.