Presentato in prima mondiale al Festival di Locarno 2017, The Dead Nation esibisce il grande talento del cineasta di Bucarest (già Orso d’argento a Berlino nel 2015) per la capacità di tenere incollati occhi, orecchie e attenzione alle fotografie che si susseguono sullo schermo quali uniche fonti d’attrazione visiva dell’intero film. Se il coraggio è straordinario, non di meno è il risultato ottenuto perché la forza delle immagini fisse rianimate solamente da testi orali (canzoni, racconti, testimonianze…) per ben un’ora e mezza offre la prova di quanto l’intelligenza emotiva dello spettatore possa essere (facilmente?) stimolata anche senza l’adozione di immagini-in-movimento, per lo più verosimili al reale. Il dispositivo è perfetto nel suo scatenare l’orrore che stava dentro a quei volti e quei corpi in un’escalation persecutoria che portò centinaia di migliaia di ebrei (ma anche Rom e tutti quanti ritenuti non socialmente utili…) romeni e dell’Europa orientale a sofferenze indicibili e – per lo più – allo sterminio. E gli oppressori, nella maggioranza dei casi che riguarda il popolo di Romania, non furono i gerarchi nazisti tedeschi ma collaborazionisti loro connazionali. Le fotografie derivano per lo più dagli scatti del ritrattista Costica Acsinte, capace fra gli anni ’30 e ’40 di mostrare la mutazione della condizione della società romena, specie rurale, nel suo prima, durante e dopo l’occupazione tedesca. Dalla serenità al sospetto con le prime avvisaglie antisemite, dalla paura per l’affermarsi delle leggi razziali al terrore dell’inevitabile che la Storia si trovò ad accertare. Il “diario fotografico” che Jude offre allo spettatore contemporaneo ha un valore inestimabile per rarità testimoniale ed eloquenza sul presente.
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