“Distruggete quel convento“. Era la fine di agosto del 1944 quando dalla cima di Montemaggiore, a metà strada tra Pesaro e Urbino, Winston Churchill, deciso a superare la linea gotica, diede ordine di abbattere il Santuario del Beato Sante. Nel bosco che circondava il monastero, infatti, i tedeschi nascondevano una contraerea. Impossibile bombardare senza colpire anche i francescani. Il convento venne in parte distrutto, ma nessuno perse la vita. Il primo ministro inglese non sapeva che proprio lì, così come in molti altri luoghi di culto delle Marche, erano nascosti numerosi ebrei. Una ventina in tutto: erano stati salvati dalla deportazione dai frati minori marchigiani. “Non solo vennero accolti – racconta a IlFattoquotidiano.it padre Giancarlo Mandolini che ha studiato i diari lasciati dai suoi predecessori – ma nascosti anche, spesso, rischiando la vita. Alla loro salvezza contribuirono in molti, persino Carlo Bo. Persino un sottufficiale tedesco”. Vennero salvati pittori, professori, scienziati, ma anche intere famiglie, spesso usando escamotage particolari, come i travestimenti. Dopo la Liberazione molti partirono, alcuni costruirono delle imbarcazioni – spiega padre Giancarlo – e salparono da Fano direzione Israele. Ma i loro anni da fuggitivi sono raccontati minuziosamente nei diari dei religiosi che li hanno accolti. Scritti che Mandolini ha riportato alla luce, collezionandoli in due libri, uno del 2012 e uno del 2014.
Ausonio Colorni, “in arte” Fra’ Gabriele
Ausonio arrivò in un convento di Pesaro nel 1943. Figlio di imprenditori benestanti di Rovigo, finito nelle liste di proscrizione, chiese ospitalità ai Frati Minori di San Giovanni Battista. Immediatamente i religiosi gli fornirono documenti falsi e per proteggerlo lo travestirono con il saio francescano “battezzandolo” Fra Gabriele. Tempo pochi mesi la situazione si fece più pericolosa. L’entroterra marchigiano era considerato più sicuro e così Colorni venne trasferito al convento San Bernardino di Urbino. Qui venne impiegato in diverse mansioni, come questuante e seppellitore di cadaveri. Neanche i tedeschi, che per un periodo occuparono il monastero, riuscirono a capire la sua origine. “Ma Carlo Bo sapeva di questo ‘gioco delle parti’ così contribuì al suo sostentamento – spiega padre Giancarlo – Un fraticello, cappellano delle carceri, si incontrava con il professore nella panetteria in cima a via Raffaello. Qui si scambiavano i soldi senza rischiare di essere notati”. Un sodalizio intellettuale che, dopo la Liberazione, portò il letterato, da poco divenuto professore ordinario all’università di Urbino (di cui poi sarà rettore) a far assumere Ausonio Colorni come studioso nello stesso ateneo.
La famiglia Sarano, da Milano a Mombaroccio in cerca di speranza
La famiglia di Alfredo Sarano, composta da sei persone, venne salvata tre volte. “Fu lo stesso padre Sante, tra i protagonisti di questa storia, a raccontarmi di loro” spiega padre Mandolini, è uno dei pochi ad aver studiato il fenomeno. Nel 1938, dopo l’emanazione delle leggi razziali, la famiglia Sarano comparve subito nelle liste di proscrizione di Milano. L’unica chance era la fuga. Così i sei emigrarono al Sud, tra le colline, dove trovarli sarebbe stato più difficile. A salvarli per primi furono i contadini delle campagne intorno a Pesaro. Tutti sapevano della loro presenza, ma nessuno li tradì.
Lo spettro della deportazione, però, arrivò anche nelle Marche. L’11 settembre 1943 i nazisti occuparono Pesaro, iniziando i primi rastrellamenti. I Sarano furono costretti a fuggire, di nuovo. A salvarli la seconda volta furono i frati del Santuario del Beato Sante. Lì, a un passo da quel bosco dove i tedeschi tenevano la contraerea, a un passo anche dal fronte orientale della linea gotica, i sei riuscirono a salvarsi. Alla loro salvezza contribuì anche un sottufficiale tedesco di appena 21 anni, Erich Eder. “Sapeva della loro presenza, sapeva che erano ebrei, ma per la sua fede cattolica non li denunciò mai”, racconta padre Giancarlo. “Negli anni Novanta, ormai debilitato su una sedia a rotelle Eder mi telefonò facendomi capire, in un latino tra il classico e il maccheronico, che ricordava quei tempi e che attribuiva al Beato Sante la sua incolumità durante la guerra”, scrive padre Giancarlo, in un articolo in cui racconta il fatto. La famiglia Sarano, alla fine, partì per Israele. Le figlie di Alfredo – Matilde, Vittoria e Miriam – non seppero fino al 2017 che a salvarle fu, tra gli altri, anche un nazista. Solo grazie al lavoro di un altro studioso, Roberto Mazzoli, che dopo aver letto le testimonianze dei francescani cercò i Sarano, pubblicando poi il libro Siamo qui, siamo vivi, le tre hanno dato un nome e un volto al loro insospettabile angelo custode.
“I frati fanno ma non suonano il tamburo”
Ma gli ebrei strappati alla furia nazista furono molti di più. “Se ne parlò poco perché i frati fanno, ma senza gesti eclatanti, non suonano il tamburo“, prosegue padre Giancarlo. “A un altro vennero aperte le porte del convento di San Francesco d’Assisi a Matelica – racconta – Si tratta del professore Sergio Sergi, ricercato dai nazisti”. Sergi, antropologo di fama internazionale, venne ospitato in due cellette, rivolte verso la strada. “Le chiese lui, al pianterreno, per avere una via di fuga più comoda“. Lo stesso chiese un certo dottor Rossi (Mandolini non è mai riuscito a trovare il nome), accolto al SS. Crocifisso di Treia di Macerata. “Quella particolare posizione gli avrebbe dato la possibilità, qualora i tedeschi o i fascisti avessero fatto irruzione nel convento, di fuggire subito verso i campi”. E ancora: altre cinque famiglie di ebrei vennero accolte nel convento di San Giovanni Battista ad Ancona; altrettante, oltre ai Sarano, ripararono al Beato Sante di Mombaroccio.
Non solo le Marche. Il “falso storico” italiano
Furono molti di più quelli che la chiesa riuscì a proteggere. Qualche decina in tutte le Marche, terra di chiese e conventi; 11mila, secondo alcune fonti, quelli salvati solo a Roma. “Ospitammo anche i coscritti e in generale qualunque persona bussasse alle nostre porte”, spiega padre Giancarlo che non riesce a non parlare di quello che considera un “falso storico”. Quello che riguarda la figura di papa Eugenio Pacelli, sul quale il dibattito storico è diviso tra chi lo ritiene colpevole del silenzio mai interrotto sulla barbarie nazista e fascista e chi invece è convinto delle sue azioni umanitarie per salvare coloro che erano minacciati dalla deportazione.“Spesso erano gli stessi vescovi, e lo stesso pontefice Pio XII, a divulgare l’idea di accoglienza o a mandarci persone da nascondere. È falso pensare che lui fosse a favore del nazismo”.