Giornata della memoria, gli “eroi qualunque” che avvertirono del rastrellamento di Genova: “Non furono indifferenti”. Il superstite: “Come fu possibile? Restare critici, anche oggi”
Sono trascorsi 75 anni da quel 3 novembre 1943, quando le truppe naziste che avevano occupato Genova con la collaborazione dei fascisti della Repubblica Sociale, pagati per contribuire ai rastrellamenti e le deportazioni di ebrei, antifascisti e operai ritenuti ‘colpevoli’ di unirsi in sciopero, tesero la trappola alla comunità ebraica.
“Dal giorno prima – racconta a ilfattoquotidiano.it Filippo Biolé, avvocato e nipote di uno dei sopravvissuti a quell’operazione – le truppe delle SS avevano preso possesso del tempio israelitico, costringendo il custode (sotto la minaccia di ammazzarne i figli di 2 e 4 anni e la moglie), a chiamare a raccolta la comunità con un pretesto. Così fece, e in tanti risposero alla convocazione”. Ma quella di Genova non fu (solo) l’ennesima storia di violenza razziale, perché alcune persone seppero non restare indifferenti, dopo essersi rese conto dell’imboscata ordita dai nazifascisti, riuscirono ad avvisare la maggior parte di coloro che si stavano avviando (inconsapevoli) verso la deportazione.
Ripercorriamo questa storia raccontando di chi, per salvare delle vite umane, mise a rischio la propria, come i ’semplici cittadini’ Massimo Teglio e Romana Rossi, quest’ultima sorpresa da un interprete delle SS mentre, dalla sua finestra, segnalava il pericolo a gesti alle famiglie che si avvicinavano al tempio, venne arrestata e trasferita in carcere.
In quei mesi, questo e altri rastrellamenti costrinsero circa 300 ebrei alla deportazione in campi di concentramento e sterminio. In tutto solo meno di 20 persone tornarono vive. Tra i superstiti dei campi nazisti dove vennero deportati dai nazifascisti c’è Gilberto Salmoni, che all’epoca dei fatti aveva 16 anni e oggi ne ha 90. Gilberto, presidente della sezione ligure dell’Associazione Nazionale Ex Deporati ricorda i momenti drammatici in cui i soldati nazisti divisero lui e suo fratello maggiore, destinati a Buchenwald e sopravvissuti, dai suoi genitori, uccisi ad Auschwitz. “Convivevamo con la consapevolezza che da un momento all’altro avrebbero eliminato anche noi. Tra lavoro forzato, privazione del sonno, trasferimenti continui e torture, riuscimmo a sopravvivere fino alla liberazione del campo”.
“Nonostante la repressione dei repubblichini fascisti e degli occupanti nazisti, che cercavano vanamente sotto controllo il territorio con violenze continue e rappresaglie – ricostruisce la storica Chiara Dogliotti – dopo mesi di lotta partigiana, nella notte tra il 23 e il 24 aprile, il Comitato di Liberazione Nazionale diede l’avvio all’insurrezione che portò alle 19.30 del 25 aprile alla Liberazione di Genova dalle forze nazifasciste. La resa del generale nazista Meinhold venne firmata a Villa Migone, davanti a Remo Scappini, operaio e rappresentante delle truppe partigiane e Pietro Boetto, cardinale di Genova annoverato tra ‘i giusti tra le nazioni’ per aver svolto in quegli anni un ruolo fondamentale nelle operazioni di assistenza agli ebrei perseguitati.
La mattina del 26 Aprile,
Radio Genova annuncia: “Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera”. Il 26 aprile un lunghissimo e silenzioso corteo di 6.000 soldati tedeschi sfilerà disarmato per la città, ai suoi fianchi lo scortano in armi
partigiani e
cittadini. Per questa sua attività antifascista, Genova sarà insignita di medaglia d’oro al valor militare, per quanto l’attuale sindaco di Genova preferisca non parlarne, forse per non arrecare disturbo a quanti, tra i suoi elettori,
preferisce commemorare i fascisti volontari della RSI che resero possibili i rastrellamenti e le deportazioni che oggi vengono ricordate nel momento di cordoglio istituzionale previsto dalla
Giornata della Memoria.