Di fronte all’unicità della Shoah, il linguaggio dell’arte non riesce a trovare le parole. Non mancano i musei dell’Olocausto, naturalmente, e non pochi artisti si sono misurati con questo terribile cimento. Ma non è forse un caso che nessun vero capolavoro della storia dell’arte del Novecento sia direttamente legato alla Shoah: come se l’arte si arrestasse, con tutta la nostra umanità, sulla soglia di qualcosa la cui vista è impossibile da sostenere. Eppure, dobbiamo guardare. Dobbiamo “meditare che questo è stato”, secondo il comando espresso da Primo Levi.

Ebbene, tra le opere d’arte realizzate negli ultimi anni ce n’è in particolare una che ha saputo guidare i cuori in questo cammino, impervio quanto necessario: la grande installazione che Christian Boltanski ha realizzato in vari contesti. Quello più impressionante fu forse il Grand Palais di Parigi: nel 2010 Boltanski lo svuotò, fece spegnere il riscaldamento, raggelandolo, e costruì una sorta di muro formato da innumerevoli scatoloni di latta numerati, e sovrapposti. Al di là del muro, ventitré rettangoli costituiti da vestiti sovrapposti, ordinati su tre file. Intorno, pali di ferro e luci al neon: come in un campo di sterminio.

Avanzando ancora, mentre gli altoparlanti diffondevano il ritmo ossessivo di un corale battito cardiaco, ci si trovava al cospetto di una visione sconvolgente: una montagna di vestiti alta venti metri, dalla cui cima un braccio meccanico attingeva continuamente, prelevando alcuni capi che poi faceva ricadere. La mano della morte, o del caso. E il destino di ogni singolo uomo. Il titolo dell’opera era la parola francese Personnes: che letto significa ‘persone’, ma che, pronunciato, suona come ‘nessuno’.

Era difficile rappresentare in un modo più leggibile, e nello stesso tempo più coinvolgente e drammatico, l’essenza stessa del bestiale totalitarismo nazista. E allo stesso tempo la banalità di questo male senza paragoni storici, secondo la ben nota e profondissima lettura arendtiana. L’essenza della ideologia che portò all’Olocausto è l’annullamento della persona umana. E la chiave per capire come è possibile che tanti uomini comuni accettassero di essere strumenti di questo disegno è ancora una volta l’annullamento della propria stessa umanità. Persone che accettavano di sradicare da se stesse ogni umanità per distruggere fisicamente altre persone umane.

È per reagire a tutto questo che la Costituzione italiana mise al centro del proprio progetto esattamente la persona umana. Come fine, e non come mezzo. Il compito supremo della nostra Repubblica è quello di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (articolo 3). Una meta altissima. Ma non certo una assicurazione: nessuno garantisce che ciò che è stato non torni. Primo Levi ha scritto ancora: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno inconsapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora al temine della catena, sta il Lager. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”.

Oggi la mano terribile e insondabile rappresentata da Boltanski afferra a caso la vita dei migranti, scaraventandoli in fondo al mare o chiudendoli in campi di concentramento che paghiamo anche con le nostre tasse. Sono ancora persone, o non sono nessuno? E noi, siamo ancora persone o abbiamo scelto di non esserlo più? Quale merito abbiamo per essere nati italiani e non africani? Bianchi e non neri? Davvero pensiamo di avere un diritto alla superiorità, alla vita, alla felicità che ad altre persone col nostro stesso cuore è negato?

E la politica, la politica che considera le persone umane strumenti e non fini, la politica di un Salvini e prima di un Minniti, da che parte sta rispetto a quel mucchio di vestiti, cioè di vite? E dove sta la politica di un Mattarella, che identifica il bene supremo del Paese nella distanza dai bilanci imposti dall’Europa e non nella dignità delle persone umane, tanto da firmare un decreto-sicurezza che viola la Costituzione proprio sul punto nevralgico della dignità della persona umana? Le parole con cui oggi viene celebrata la Giornata della Memoria possono essere parole false, o parole vere. Parole di morte, o parole di vita. Mai come quest’anno la memoria di ciò che è stato non può separarsi dalla coscienza di ciò che è oggi.

Oggi fermare quel braccio meccanico che annienta le persone umane dipende da noi. Dipende dalla nostra capacità di ascoltare il battito cardiaco che Boltanski faceva risuonare nel Grand Palais. Ma batte ancora, nel petto, il nostro cuore?

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