Un contratto di pulizie per fare tutt’altro: stendere e guarnire pizze, con turni di lavoro fino a 12 ore consecutive, comunicati via sms a poche ore dall’inizio. Per 800 euro lordi al mese, 1200 quando va bene. È quello che denuncia un gruppo di lavoratori e lavoratrici di Italpizza, gigante dei surgelati da 100 milioni di pizze l’anno e un fatturato da 120 milioni nel 2017, cresciuto negli ultimi dieci anni di oltre il 260%. Si trova alle porte di Modena, in uno dei distretti industriali più ricchi dell’Emilia Romagna. Qui 850 persone, per lo più straniere, ogni giorno vivono nell’attesa che il display del telefono riveli orario e mansione da ricoprire il giorno successivo.
“Ci sono persone che smontano alle 5 del mattino e dopo 8 ore vengono chiamate per il turno successivo, senza rispettare il periodo minimo di riposo”, dichiara Enrico Semprini dei SiCobas, “senza tralasciare il contratto applicato, che appartiene alla categoria ‘multiservizi’, del tutto inadeguata per chi maneggia e lavora alimenti e avrebbe diritto, invece, a un contratto da alimentarista”. Da lunedì 21 gennaio il sindacato di base è tornato fuori dai cancelli con i suoi iscritti. Presidiano lo stabilimento impedendo l’ingresso e l’uscita dei camion, mentre polizia e carabinieri formano cordoni in assetto antisommossa per contenere il blocco della strada, la Vignolese, mentre tra il casello di Modena Sud e Spilamberto regna il caos. Per dare sostegno a una cinquantina di lavoratori dell’Italpizza sono arrivati rinforzi da tutta la Regione: si tenta in tutti i modi di fermare i mezzi in transito, gettandosi per terra, rischiando di essere investiti.
Il clima è molto teso. A riesplodere sono le proteste che già lo scorso novembre avevano infiammato per dieci giorni giorni consecutivi il piazzale antistante Italpizza e che si erano placati solo grazie a un accordo siglato l’11 dicembre in Prefettura tra azienda, cooperative e proprietà. L’intesa prevedeva il ricollocamento entro il 20 gennaio di 13 lavoratrici che erano state destinate ad altri stabilimenti (“Un licenziamento mascherato per punire le operaie che si erano iscritte al sindacato” secondo i SiCobas), la verifica delle posizioni contrattuali e della corretta applicazione dei riposi compensativi.
E invece, continua il sindacalista, nonostante il ricollocamento, “i patti non sono stati rispettati. Il risultato è una vendetta costante nei confronti dei lavoratori. Più che l’adeguamento del contratto alle mansioni svolte si è verificato l’opposto, con le lavoratrici che sono state riammesse ma allontanate dalle mansioni abituali, mandate a fare le pulizie e a spalare la neve nei piazzali e sul terrazzo per isolarle dai colleghi”. Versione non confermata dall’azienda, secondo cui “le lavoratrici, in virtù degli accordi presi in prefettura, sono state reinserite nelle aree e nelle mansioni disponibili al momento del ricollocamento, avvenuto in una fase straordinaria”. E precisa che “le pulizie, insieme ad altre mansioni, sono previste dal contratto multiservizi, frutto di un accordo siglato nel 2015 con Cgil, Cisl e Uil”.
“Ci hanno fatto pulire il tetto, a 15 metri di altezza, senza imbracature di sicurezza”, urlano in coro le operaie ricollocate fuori dallo stabilimento. “Vogliamo tornare in azienda con i nostri diritti”, e esprimono solidarietà a chi è non è sceso in strada accanto a loro, più di 800 persone. “Martedì in azienda hanno costretto i nostri colleghi a uscire dalla fabbrica e schierarsi contro di noi – accusano – Ma quando sono rientrati ci hanno mandato un messaggio per chiederci scusa e dirci che era stato tutto pilotato. C’è un clima di paura, provano a metterci gli uni contro gli altri”. Per Italpizza, invece, “lo sciopero è stato proclamato in maniera unilaterale e la reazione dei lavoratori contrari al blocco è stata del tutto spontanea”.
“Lì dentro siamo tutti stranieri, molti sono in Italia da meno di un anno e non sanno nemmeno di avere dei diritti”, racconta un altro lavoratore in presidio. “La domenica è pagata come il lunedì, gli straordinari non esistono, i doppi turni sono una regola”. Due anni fa si è rivolto al sindacato perché “le voci in busta paga non corrispondevano con i turni effettuati. Non si capisce nulla. L’unica certezza è che lo stipendio cala di anno in anno. Se nel 2002, lavorando 200 ore al mese, riuscivo a mettermi in tasca 1800 euro, oggi a stento arrivo a 1200”.
“Non abbiamo mai ricevuto nemmeno una contestazione su una busta paga”, precisa l’azienda committente, che monitora il lavoro delle due cooperative da cui ha “avuto evidenza”, aggiunge, “della regolare turnistica dei prossimi mesi che prevede regolari riposi ed è organizzata attraverso l’aiuto di un software”.
“Per un turno normale ci è concessa solo una pausa di dieci minuti, se ne fai uno in più ti sottraggono mezz’ora di lavoro dal conteggio totale e non te la pagano” dicono intanto i Si Cobas. “Di recente è stato anche installato un marcatempo per i servizi igienici – precisa Semprini – Sarà attivato a febbraio. La velocità di produzione è talmente elevata che c’è difficoltà a garantire pure i bisogni fisiologici. È un modo, questo, per incutere ancora più timore nella fabbrica”. Italpizza smentisce: “Si tratta di tornelli posti all’ingresso dello del reparto produzione dello stabilimento, e non dei servizi igienici, previsto dai protocolli di sicurezza alimentari, per avere un controllo degli accessi in caso di incendi”.
Sulla vertenza Italpizza e su quello che definisce il “nuovo caporalato degli appalti” interviene anche Umberto Franciosi, segretario della Flai Cgil dell’Emilia Romagna. “Si può e si deve sempre isolare e condannare la violenza, anche quando la si usa per rivendicare diritti . Ma quando questi diritti, anche quelli costituzionali, non vengono rispettati, compresi gli accordi sindacali sottoscritti in Prefettura a che santo si possono appellare gli “schiavi” degli appalti”?”. E lancia un appello alle istituzioni, “cieche e sorde di fronte alla girandola di appalti che si sono succeduti in questi anni all’interno di Italpizza e di altre aziende del distretto modenese”.
“Di fronte al silenzio delle istituzioni locali, pretendiamo che l’accordo siglato in Prefettura a dicembre venga rispettato, e il governo deve farsi garante”, ripetono i Si Cobas in assetto di guerra. “La protesta andrà avanti fino a che non si giungerà a una soluzione”. Il Comune di Modena intanto ha chiesto al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio di fare chiarezza rispetto ad alcune questioni sollevate dai sindacati e sul tipo di contratto da applicare ai lavoratori. “È una competenza del ministero che ha la possibilità di dire una parola chiara”, ha detto l’assessore al lavoro Andrea Bosi, mentre in Italpizza è aperto un tavolo con Cgil, Cisl e Uil per ottenere una contrattazione di secondo livello per i lavoratori delle cooperative. A fine 2018 la vicenda Italpizza era arrivata anche al Mise, attraverso un’interrogazione della deputata del Movimento 5 Stelle Stefania Ascari.