Cinema

Elio Petri, 90 anni fa nasceva il padre rinnegato di un cinema che non c’è più

In Italia, quella del cinema politico o d'impegno civile è stata una stagione incendiaria. Battezzata nel 1962 da Francesco Rosi con Salvatore Giuliano terminò bruscamente nel 1976, dopo anni intensissimi. Per una strana profezia o per un'orrida coincidenza, a decretarne la fine fu proprio l'autore che più di tutti aveva contribuito a renderla grande

di Marco Colombo
Elio Petri, 90 anni fa nasceva il padre rinnegato di un cinema che non c’è più - 3/3

Il regista che “uccise” Aldo Moro – “Nell’ultimo periodo della mia vita, io ho fatto film sgradevoli in una società che ormai chiede la gradevolezza a tutto, persino all’impegno”. Nel 1976 Petri porta sul grande schermo un altro romanzo di Leonardo Sciascia: Todo Modo, pubblicato appena due anni prima. Centrato attorno a un gruppo di politici rintanato in un albergo che è a un tempo eremo e prigione, il film è un processo esplicito alla Democrazia cristiana. Tra i fantasmi di questo canto funebre, accanto a un Mastroianni luciferino e a un Ciccio Ingrassia mai più così bravo, troviamo infatti l’ombra di Aldo Moro. Seppure celata sotto l’anonimato di una M puntata, la figura del presidente ricalca parole, opere e omissioni del giurista democristiano. Restituita alla cellulosa con impressionante mimetismo dal solito Volonté, la maschera di Moro è così coinvolta in una rilettura degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola che si trasforma ben presto in tragedia grottesca. Scavando fra le proprie origini e fra quelle del suo cinema, Petri tinge di giallo e di assurdo il più pasoliniano tra i suoi film. In questa violenta accusa a una Dc che il cineasta denuncia come marcescente e corrotta, gli echi di Salò o le 120 giornate di Sodoma sono assordanti. A cominciare da una religiosità alterata e resa tangibile dalle scenografie composte da Dante Ferretti, un rimando ai gironi infernali della Divina commedia.

Ma Todo Modo è soprattutto un film maledetto. Fin dalla sua uscita in sala, la pellicola si guadagna stroncature dall’intero orizzonte politico. Democrazia cristiana e Partito comunista stanno lavorando al “compromesso storico” e un’opera del genere, che illumina le storture del principale partito nazionale, è un problema. Ritirata dai tabelloni in meno di un mese, sembra perciò destinata all’oblio quando il nastro originale è trovato bruciato negli archivi di Cinecittà. Rigurgito diretto degli Anni di Piombo, però, il film riemerge pochi mesi dopo. Al suo interno, infatti, è custodita un’inquietante profezia. Nei minuti finali, Petri porta in scena l’esecuzione del Presidente, fucilato dal suo autista mentre in ginocchio piange pietà. Quando il 9 maggio 1978, in via Caetani, è rinvenuto il corpo di Moro crivellato da 12 colpi quelle immagini diventano un sinistro presagio. Petri è accusato di aver incitato i terroristi, di aver in qualche modo portato al rapimento e all’esecuzione dell’ex presidente del Consiglio. Il cinema politico è morto e l’immagine del suo paladino totalmente compromessa. Negli anni successivi trova (poco) spazio in tv e firma il pessimistico e caotico Buone notizie (1979). Sciascia lo difende, giustificando la necessità di quel Todo Modo e sottolineando l’estraneità di Elio alla propaganda delle Brigate Rosse. Lui fa lo stesso, anzi, di più, ribadendo il proprio disprezzo verso gli autori di quell’orrendo omicidio. Senza rinnegare la propria opera, ma continuando a farlo, in ogni occasione. Fino alla morte, il 10 dicembre del 1982, quando un cancro lo sfinisce a soli 53 anni.

Twitter: @Ocram_Palomo

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