L’ultimatum Ue al Venezuela di indire nuove elezioni in otto giorni, pena il riconoscimento di Guaidò come legittimo presidente del Paese, è strumentale e inapplicabile e assomiglia molto all’ultimatum dato a Saddam Hussein sulle armi chimiche, prima dell’invasione dell’Iraq.

Alessandro Di Battista l’ha giustamente definita “una stronzata megagalattica” poiché sappiamo tutti che la proposta non verrà accettata dal governo venezuelano. Condivisibile, invece, è la riflessione e l’indicazione data dal sottosegretario Manlio Di Stefano circa lo stimolo all’Ue: “Se l’Unione europea vuole dare un senso alla sua esistenza, l’unica cosa che può fare per la crisi venezuelana è organizzare un incontro tra l’Alto Rappresentante Federica Mogherini e il Ministro degli Esteri del Venezuela Jorge Arreaza per rendere fattivo il supporto della Ue al dialogo lanciato da Messico e Uruguay. Basta iniziative personali, cerchiamo pace e dialogo invece di bandierine nazionali da dare in dote agli Usa o alla Russia”.

Basta tornare al recente passato – alla campagna mediatica che ha anticipato interventi militari in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria e in Ucraina – per rendersi conto come sul Venezuela sia in corso una vera e propria propaganda che, se non fermata, anticiperà presto o tardi una guerra civile e un intervento militare esterno in nome della democrazia. Un copione già visto appunto nei casi precedenti.

Come al solito, i media e le forze politiche chiedevano a gran voce la partecipazione dell’Italia a missioni militari finalizzate a rovesciare i governi di quei Paesi. Coloro che si opponevano alla guerra venivano tacciati di essere prima filo-talebani, poi filo-Saddam, poi ancora filo-Gheddafi, filo-Assad e poi filorussi. Oggi chi si oppone al possibile intervento in Venezuela è tacciato di essere filo-Maduro. Nulla di nuovo sotto il cielo.

Eppure in nessuno dei casi precedenti la ricetta degli Stati posti a guardia dei principi di “democrazia e prosperità dei popoli” ha ottenuto gli effetti desiderati. Ovunque, purtroppo, le ingerenze esterne hanno scatenato sanguinosissime guerre civili che durano da anni: devastazione delle infrastrutture, delle città, distruzione delle istituzioni e dell’ordine che, seppur precario, permetteva una vita sicuramente migliore rispetto a quello che è successo dopo.

Oggi, chi sta fomentando la creazione di due governi in Venezuela non lo fa per tutelare il popolo o per far trionfare la democrazia, ma per spianarsi la strada verso l’appropriazione delle risorse e per motivi geopolitici. Non è un segreto che Russia e Cina stiano aiutando Maduro, in un continente da sempre sotto la diretta influenza americana, così come non è un segreto che il Venezuela abbia le più cospicue riserve petrolifere al mondo. Il petrolio e la geopolitica sono i veri motivi dell’attenzione verso il Venezuela e la popolazione, che oggi tutti vogliono aiutare ad autodeterminarsi, sarà l’agnello sacrificale di questo nuova partita di Risiko.

La posizione dell’Italia è molto delicata, in quanto centinaia di migliaia di nostri connazionali rischiano di trovarsi coinvolti in un conflitto dagli esiti incerti: questo ci impone ancor di più la massima responsabilità e moderazione e non certo toni da ultras come ho purtroppo sentito nell’aula del Senato di recente. Sono persuaso che il popolo venezuelano saprà presto risollevarsi pacificamente da questa crisi economica e istituzionale, ma dobbiamo fare in modo che ciò possa verificarsi e che un eventuale cambio di regime sia ordinato e pacifico. Basta, entrare a gamba tesa negli affari interni di un Paese sovrano!

Il M5S da sempre si oppone alle guerre a prescindere da chi governa, perché ci sono sempre soluzioni alternative che tutelano, per quanto possibile, la stabilità di un Paese e la sua popolazione. Noi non siamo né con Maduro né con Guaidò, ma nemmeno con chi si autoproclama guardiano della “democrazia e della prosperità” altrui. Noi siamo con il popolo venezuelano, che deve essere libero di scegliersi chi lo rappresenta.

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