La donna cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia e rilasciata lo scorso ottobre potrebbe lasciare il Paese dove era trattenuta, tra le minacce di morte degli islamisti
La Corte Suprema del Pakistan ha confermato l’assoluzione di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia e rilasciata lo scorso ottobre. Ora la donna potrebbe lasciare il Paese dove era trattenuta, tra le minacce di morte degli islamisti, fino alla decisione dell’Alta Corte sul ricorso contro l’assoluzione.
Secondo il giudice Asif Saeed Khosa, presidente dei tre membri della Corte chiamati a rivedere il caso, il firmatario del ricorso “non è stato in grado di individuare alcun errore nel verdetto della Corte Suprema che ha assolto Asia Bibi”. urante l’udienza di oggi, l’avvocato Ghulam Ikram, legale del ricorrente Qari Muhammad Salaam, aveva chiesto che a giudicare la richiesta fosse un tribunale più ampio che includesse anche religiosi islamici e ulema. Dura la risposta del presidente: “Il verdetto è stato emesso sulla base di testimonianze. Secondo l’Islam una persona dovrebbe essere punita anche se non è stata giudicata colpevole? Ci dimostri cosa c’è di sbagliato nel verdetto”.
La vicenda – Le accuse contro la donna risalgono al 14 giugno 2009, quando Bibi era lavoratrice agricola a giornata. Le viene chiesto di andare a prendere dell’acqua, ma scoppia un diverbio con le altre donne nel campo. Secondo le donne musulmane in quanto cristiana, Bibi non avrebbe potuto toccare il recipiente dell’acqua. Pochi giorni dopo le donne denunciano Asia Bibi alle autorità: nella discussione avrebbe offeso Maometto. L’accusa è quindi di blasfemia, punibile con la morte secondo la legislazione dell’era coloniale. Passano alcuni giorni e la donna viene picchiata, stuprata, e infine arrestata e rinchiusa nel carcere di Sheikhupura, nonostante manchino le prove contro di lei. Il primo novembre 2010 Bibi viene condannata a morte in primo grado e trasferita al carcere femminile di Multan. Nell’ottobre del 2014 l’Alta Corte di Lahore conferma in appello la condanna a morte e il caso arriva davanti alla Corte Suprema, l’ultimo grado di giudizio.
Durante l’udienza di appello dell’8 ottobre, una giuria composta da tre membri della Corte Suprema ha messo in discussione i due precedenti verdetti. In particolare è stato il giudice Asif Saeed Khan Khosa, considerato il principale esperto in diritto penale del Pakistan, a elencare i difetti nel procedimento. “Nel primo verbale non vedo alcun commento dispregiativo nei confronti del sacro Corano”, ha aggiunto il giudice Saqib Nisar, riferendosi alla denuncia iniziale depositata nel caso.
Lo strascico di violenze – La storia di Asia Bibi ha fatto il giro del mondo. Il suo caso ha scatenato l’indignazione all’estero e ha provocato diversi episodi di violenza in Pakistan, attirando l’attenzione dei gruppi per i diritti umani. Sulla condanna a morte si è espresso anche il Vaticano. Papa Benedetto XVI nel 2010 ne aveva chiesto la liberazione e l’attuale pontefice, Francesco, nel 2015 ha incontrato una delle figlie della donna. Attivismi che finora avevano portato a poco, visto che la donna dal giorno della sentenza, 8 anni e mezzo fa, è rimasta chiusa in una cella dove ha iniziato a presentare segnali di cedimento psicologico. Bibi, infatti, ha ricevuto negli anni continue minacce, tanto che dopo l’uccisione di Osama bin Laden la sicurezza intorno alla sua cella era stata rafforzata.
In Pakistan, dove secondo una relazione del 2018 della Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale ci sono circa 40 persone condannate a morte per blasfemia, il caso è diventato un pretesto per azioni violente da parte di gruppi islamisti ed è stato all’origine di almeno due omicidi. Le richieste di riformare la legge sulla blasfemia hanno portato nel 2011 all’assassinio, da parte della sua stessa guardia del corpo, di Salmaan Taseer, il governatore della provincia del Punjab. L’uomo aveva anche chiesto la liberazione di Asia Bibi. Il suo assassino, Mumtaz Qadri, è stato giustiziato nel 2016 ed è stato celebrato come un eroe dagli intransigenti. Nello stesso anno anche un ministro cristiano delle Minoranze, Shahbaz Bhatti, che da tempo si batteva per difendere i diritti dei cristiani pachistani, è stato ucciso sulla soglia di casa per aver difeso la donna chiedendo, anche lui, una modifica della legge contro la blasfemia.