Gli Stati Uniti accusano Huawei e uno dei suoi top manager, il chief financial officer e figlia del fondatore della società Meng Wazhou, di furto di segreti commerciali e di frode per la violazione delle sanzioni contro l’Iran. Accuse pesanti che precedono di pochi giorni il nuovo round di trattative commerciali fra Stati Uniti e Cina, in programma il 30 e 31 gennaio a Washington. Huawei e Meng in particolare sono accusati di aver mentito alle autorità bancarie per evitare dubbi ed eventuali domande su transazioni con l’Iran. Transazioni – come riporta l’Ansa – da milioni di dollari, afferma il ministro della sicurezza nazionale Kirstjen Nielsen. Secondo l’accusa Meng – attualmente in Canada dopo il suo arresto in dicembre e per la quale gli Stati Uniti stanno cercando l’estradizione – avrebbe ripetutamente mentito nel 2013 sui rapporti fra Huawei e la società iraniana Skycom. E il colosso cinese, consapevole delle indagini americane, l’avrebbe coperta e cercato di ostruire e ostacolare il lavoro degli investigatori statunitensi trasferendo possibili testimoni in Cina. Alle accuse sull’Iran si sommano quelle furto di segreti commerciali: con uno “sforzo concertato” Huawei ha tentato di rubare informazioni da ‘Tappy’, il robot di T-Mobile per i test sugli smartphone.
La pratiche di Huawei “vanno avanti da anni” e riguardano anche i vertici della società, denuncia il ministro della Giustizia ad interim, Matthew Whitaker, secondo il quale la Cina dovrebbe agire ed essere preoccupata per l’attività di Huawei. Parole dure di condanna arrivano anche dal segretario al Commercio Wilbur Ross: mentire, ingannare e rubare non è una perseguibile strategia per la crescita. Le accuse mettono in evidenza le “azioni sfacciate e persistenti” di Huawei ai danni “di società e istituzioni finanziarie americane” osserva il numero uno dell’Fbi, Christopher Wray. Società come Huawei rappresentano “un rischio sia per la sicurezza economica sia per quella nazionale, e l’ampiezza delle accuse” presentate ”chiarisce quanto seriamente l’Fbi prende queste accuse”. L’affondo delle autorità americane minaccia il nuovo round di trattative fra Stati Uniti e Cina, che cercano un accordo per disinnescare una guerra commerciale che già si fa sentire sull’economia mondiale.
Huawei respinge le accuse affermando di “non aver mai commesso le violazioni citate“. Il colosso delle tlc cinese, in una nota, precisa anche di “non essere a conoscenza di alcuna violazione” fatta da Meng Wanzhou. Il gruppo nega gli addebiti osservando di aver chiesto, ricevendo però un rifiuto, di poter discutere i fatti emersi dalle indagini con la procura competente dopo l’arresto del direttore finanziario. La compagnia di Shenzhen ricorda poi che le accuse di furto di segreti commerciali era stata già al centro di una causa civile ricomposta con un transazione. “La compagnia – precisa la nota – nega di aver direttamente, oppure attraverso una società sussidiaria o affiliata, commesso qualunque delle violazioni delle leggi Usa menzionate in ciascuna incriminazione”. Allo stesso tempo, il colosso delle tlc “non è a conoscenza di alcuna violazione fatta da Meng e ritiene che i tribunali Usa arriveranno sostanzialmente alla stessa conclusione”
La Cina chiede con forza agli Usa di rimuovere la richiesta d’arresto contro Meng Wanzhou, a capo della finanza di Huawei, e di non procedere con la richiesta di estradizione dal Canada evitando di peggiorare il percorso negativo finora intrapreso: il ministero degli Esteri, a poche ore dalla formalizzazione delle variegate accuse del Dipartimento di Giustizia americano contro la società e la manager, assicura che Pechino “proteggerà con fermezza i legittimi interessi delle compagnie cinesi”. In una nota, il ministero degli Esteri esprime “grave preoccupazione” per l’ultima mossa decisa dagli Stati Uniti sollecitando la cancellazione della richiesta di arresto di Meng e la fine dell’”irragionevole repressione” messa in atto contro le imprese cinesi, inclusa Huawei. Pechino, sul punto, intende muoversi “con fermezza” lavorando alla tutela di tutti i loro “interessi legittimi”. La messa in stato d’accusa di Huawei è stata invece definita “ingiusta e immorale” da un funzionario del ministero dell’Industria cinese.