Durante la requisitoria i pm hanno ripercorso tutte le attività che avrebbero causato il dissesto finanziario, tra cui l'acquisto di uno yacht a Civitavecchia, quello di Sacci, i finanziamenti per il relais San Carlo Borromeo e le vicende collegate al finanziere Alberto Rigotti
Il gup di Arezzo Giampiero Borraccia ha condannato in abbreviato quattro ex dirigenti di Banca Etruria nel filone di inchiesta per bancarotta. Il giudice ha inflitto 5 anni (scontati di un terzo per il rito) per l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex dg Luca Bronchi, e di 2 anni per l’ex dg Alfredo Berni, tutti imputati per bancarotta fraudolenta. Pena di 1 anno per l’ex consigliere del cda Rossano Soldini accusato di bancarotta semplice. Il gup ha inoltre rinviato a giudizio gli altri 27 imputati. Il pm Andrea Claudiani aveva chiesto 5 anni per Fornasari e Bronchi, 2 anni e 6 mesi per Berni, tutti imputati per bancarotta fraudolenta, e un anno e 6 mesi per Soldini che deve rispondere di bancarotta semplice. Durante la requisitoria i pm hanno ripercorso tutte le attività che avrebbero causato il dissesto finanziario, tra cui l’acquisto di uno yacht a Civitavecchia, quello di Sacci, i finanziamenti per il relais San Carlo Borromeo e le vicende collegate al finanziere Alberto Rigotti.
La tesi dell’accusa si basa sulla presunta esistenza all’interno di Banca Etruria di un governo informale o ombra a cui partecipavano proprio l’allora presidente Fornasari, i suoi vice, Giovanni Inghirami e Giorgio Guerrini, e il direttore generale Bronchi, che pure non aveva diritto di voto in consiglio. Un comitato che avrebbe tagliato fuori il cda vero, ridotto a mero organo di ratifica di decisioni già prese in forma ristretta il giorno precedente. Stesso punto che aveva fatto da discrimine quanto si era trattato, da parte della procura, di decidere quale tipo di bancarotta contestare ai 31 imputati. In particolare tra le contestazione le aperture concesse alla società Sacci per 60 milioni, alla Privilege Yard per 30 milioni e altri finanziamenti concessi alla San Carlo Borromeo, a Isoldi, a città Sant’Angelo a un cantiere navale a Civitavecchia, alla Pegasus, alla High Facing e alla Castelnuovese.
A chiusura indagine gli inquirenti sostennero che alcuni dei finanziamenti venivano poi utilizzati dagli stessi consiglieri. Nel caso della società Pegasus, ad esempio, Etruria aveva concesso un finanziamento da 4 milioni di euro per costruire un complesso immobiliare ma quei fondi sarebbero poi in parte veicolati alla Abm di Albergo Rigotti che riuscì così a ripianare l’esposizione della sua società con la banca e rimanere nel cda come consigliere evitando la decadenza. Quello di Rigotti, avevno ricostruito gli inquirenti, fu il voto decisivo per estromettere Faralli dal board e far insediare al vertice di Etruria Giuseppe Fornasari.
Le indagini vengono da lontano, esattamente dall’11 febbraio 2015 quando i funzionari di Banca d’Italia interruppero la riunione del cda e invitarono l’intero vertice a lasciare, commissariando di fatto l’istituto. A quel punto Banca Etruria era tecnicamente fallita. Sul tavolo del procuratore Roberto Rossi finirono una serie di crediti e finanziamenti mai rientrati che avrebbero portato al fallimento di una banca che, stando a quanto messo insieme durante le indagini, era stata totalmente svuotata proprio da una gestione quantomeno “allegra” dei soldi. “Questa sera si è fatto giurisprudenza – ha commentato ricalcando i suoi legali Pietro Ferrari per Federconsumatori – per noi che rappresentiamo le parti civili adesso questo pronunciamento sarà un ottimo viatico per gli altri filoni processuali ancora aperti”. I difensori ora aspetteranno le motivazioni per valutare l’appello.