Una discarica all’interno del territorio del comune di Roma. E un tmb “di ultima generazione” a Colleferro, da 500mila tonnellate annue, dove conferire l’indifferenziato oggi lavorato dai quattro impianti (tre, escludendo quello ormai distrutto del Salario) presenti nella Capitale. Arriva dalla Regione Lazio lo “strumento legislativo” tanto reclamato da Virginia Raggi nel corso degli ultimi due anni e mezzo. O meglio, per il momento il testo è stato partorito dalla Giunta regionale, ma per diventare legge dovrà passare prima dalle commissioni e poi dall’approvazione del Consiglio. Con il “sub-ambito” di Roma, la Città Eterna dovrà essere in grado, per legge, di concludere autonomamente nel suo territorio il ciclo dei rifiuti. Un assist non indifferente ai comitati che nel corso delle ultime settimane si erano formati diffusamente in vari territori dell’hinterland.
DISCARICA SI O NO? – L’esecutivo locale guidato da Nicola Zingaretti consegna così nelle mani della prima cittadina la possibilità di sopperire all’emergenza rifiuti con la realizzazione di una discarica, ovviamente nelle (numerose) aree bianche già indicate dalla Città Metropolitana. “Secondo noi Roma ha bisogno di una discarica di servizio – ha detto il governatore – Siamo pronti a ricrederci se non fosse così, anche se io non lo credo. Bisogna, con grande responsabilità, individuare un sito”. Un’opzione che Raggi ha ribadito più volte di non voler prendere in considerazione. “Puntiamo sul riciclo e sull’economia circolare”, ha spiegato, ancora una volta, la sindaca, commentando l’ordine del giorno approvato all’unanimità in Città Metropolitana – a propulsione pentastellata e governata dalla stessa Raggi – che impegna a non realizzare discariche nel territorio della provincia. E infatti in Campidoglio la discussione sul piano regionale è stata animata da urla e scontri verbali tra M5s e Pd. “La Regione ha presentato le linee per il piano rifiuti dove prevede una nuova Malagrotta a Roma. Noi non la faremo realizzare né a Roma né in Provincia, non si farà mai”, ha attaccato il consigliere Cinquestelle Pietro Calabrese. “Fuori, buffone”, la replica dai banchi del Pd. Al momento fra le aree bianche ci sono numerose località formalmente appartenenti al Comune di Roma, ma confinanti con aree sensibili come Cerveteri, Fiumicino, Guidonia e Riano. Proprio nei pressi del comune sulla via Tiberina c’è una cava di proprietà del Gruppo Maio il cui iter per diventare in discarica è in corso di autorizzazione presso gli uffici regionali.
LA SCOMMESSA DEL “VETRIFICATORE” – Se non in una discarica, allora dove si concluderà il ciclo dei rifiuti di Roma? Per il momento continueranno ad andare fuori dalla Regione, confidando nel nuovo piano industriale di Ama – la società capitolina dei rifiuti – che, nelle intenzioni, dovrebbe portare la raccolta differenziata a quota 75% nel 2023 (70% nel 2021). Un piano del quale per il momento ci sono solo delle linee guida e una nota stampa che accenna a “un impianto per la vetrificazione degli scarti di trattamento”. Ilfattoquotidiano.it ha contattato il Gruppo Sofinter, detentore del brevetto (italiano) Isotherm Pwr, che ci ha confermato come da mesi vadano avanti le interlocuzioni con Ama e con il Ministero dell’Ambiente per la realizzazione di un secondo impianto a Roma, il primo vero e proprio, dopo il prototipo realizzato in Puglia. La tecnologia “flameless oxycombution” – senza fiamma – utilizza aria arricchita di ossigeno in un reattore ad alta temperatura e a pressione elevata, e può gestire un’elevata quantità di conferimenti, più dei termovalorizzatori tradizionali. “Per realizzarlo materialmente, superate le tappe burocratiche, servono dai 18 ai 30 mesi a seconda delle dimensioni”, spiegano dalla Sofinter. Essendo una tecnologia brevettata, non ci sarebbe bisogno di bando pubblico, ma di concreto – finanziamenti, aree idonee, volumi, ecc – per ora c’è ben poco.
IL SUPER-TMB E LE FABBRICHE DI MATERIALI – Il problema però sta alla base. Come ci arriva Roma al 75% di differenziata? La Regione Lazio ha annunciato che entro il 2021 realizzerà a Colleferro – dove sorgeva l’inceneritore – un “impianto di riuso e riciclo tra i più moderni in Italia”. A quanto si apprende, si tratterebbe di un tmb di ultima generazione da 500.000 tonnellate l’anno (1.300 circa al giorno) che dovrebbe andare a sostituire le oltre 700.000 totali conferite nei 2 tmb Ama di Salario – fino all’incendio – e Rocca Cencia e nei 2 di Malagrotta di proprietà del Colari di Manlio Cerroni. Secondo quanto comunicato da Ama, di qui al 2022 verranno realizzati 13 impianti: 3 per il trattamento degli scarti organici, 3 per il plastica e metalli, 2 fabbriche dei materiali “in sostituzione dei Tmb”, 4 per materiali specifici (Raee, terre di spazzamento, materassi, pannolini) e 1 per la vetrificazione degli scarti di trattamento. Ma anche in questo caso non è ancora chiaro dove, come, con quali soldi verranno costruiti.
LA PUGLIA SI RIBELLA – Il tema non è di poco conto. Perché oltre alle crisi di nervi dei cittadini romani rispetto alle difficoltà con cui avviene la raccolta nelle strade, c’è da avere a che fare con l’insofferenza delle altre regioni, che non vogliono più aiutare Roma e alzano il prezzo. È il caso della Puglia. L’ente guidato da Michele Emiliano nelle scorse settimane ha approvato – anche con il voto del M5s locale – una legge regionale che determina un +20% sulla tariffa di conferimento nei propri impianti per i rifiuti che arrivino da fuori i confini regionali. Una sorta di sovranismo dell’immondizia che ha messo in allarme il Ministero dell’Ambiente. Così nei giorni scorsi il ministro Sergio Costa ha impugnato presso la corte Costituzionale il provvedimento. “La Puglia non è la discarica di Roma”, ha detto, indignato, l’assessore pugliese Gianni Stea, aggiungendo: “Non è una tassa, ma un equo compenso”.