Musica

Sanremo 2019, se il buongiorno si vede dai testi delle canzoni non siamo messi benissimo

"Amore", "cuore" ma anche "porti chiusi" tra le parole più gettonate. Per tutti vale però la lezione di Ultimo, nomen omen, che con I tuoi particolari si arrende all’infinito, getta le armi degli ultimi Mogol in crisi d’identità: “Se solamente Dio inventasse delle nuove parole potrei dirti che/siamo soltanto bagagli”. Amen

di Davide Turrini

Se il buongiorno di Sanremo si vede dai testi delle canzoni in gara c’è poco da stare allegri. Parolieri contemporanei in saldo, rimasticazioni di poetiche e stili, apnee rappettare in rima baciata, e il solito ermetismo nobile del dire a nuora perché suocera intenda. Intanto la classica chiamata alle armi del cuore. La parola “amore” esiste. E appare con assiduità in undici delle 24 canzoni che ambiscono alla vittoria. A cui vanno aggiunti un’altra mezza dozzina di “cuore”.

Uno schieramento politicamente nostalgico e trasversale che taglia a metà il neomelodico di Anna Tatangelo (“Quante bugie ci siamo detti, amore”), le arie(tte) internazionali de Il Volo (“Amore abbracciami, voglio proteggerti”) e scorre giù giù fino alle nuove leve calcistiche classi ’68 degli ExOtago (“Quando l’amore non è giovane, è solo una canzone”), del cucciolo Irama che la prende larga e più ingenuamente pepata (“Fare l’amore è così facile, credo”) e del pretenzioso Einar che nel ritornello del suo brano spinge il pedale di una fantasia che non sboccia ripetendo per tre volte: “Riscriverò l’amore con parole nuove”.

Altro refrain rintracciabile, letteralmente istantaneo, solubile e da mescolare in cronaca è quello dei salviniani “porti chiusi”. Novelli Ribelli, all’epoca erano i pugni ad essere chiusi, gli Zen Circus non si dannano l’anima creativa in nessuna elaborazione in versi (“le porte aperte e i porti chiusi, e sorrisi agli sconosciuti/che ci guardano attoniti mentre ci baciamo”), mentre i Negrita perdono un paio di minuti in più e sfornano un riferimento twittarello da brividi: “Dei fantasmi sulle barche e di barche senza un porto/come vuole un comandante a cui conviene il gioco sporco”. È il pegno da pagare per stare al passo con la contemporaneità dell’hip hop e della trap. Ghemon, infatti, cerca di recuperare i fasti del “guerriero di carta igienica” di Umberto Tozzi con un “Frasi squisite, quelle tue/ che ora sanno di cibo per gatti”. Mentre Federica Carta e Shade tengono il punto con un fraseggio più sciolto e sofisticato sulle angosce dell’oggi, in chiave Recalcati: “Noi piano piano ci roviniamo/dammi il mio panico quotidiano”.

Solo che la trap è poeticamente un altro mondo. Magari un po’ superficiale e querulo, ma l’efficacia dei versi in rima in chiave d’attualità è sempre un sentire orecchiabilissimo. Mahmood la fa un po’ vintage con un uno-due Medio Oriente/Hollywood che lascia il segno (“Beve champagne sotto Ramadam/Alla tv danno Jackie Chan”), mentre Achille Lauro rimescola l’immaginario internazionale di arti-culture-musiche-cinema- tv-sport con il brano Rolls Royce che accontenta, in chiave nazionalpopolare, dalle nonne agli adolescenti: “No non è un drink è Paul Gascoigne/No non è amore è un sexy shop/Un sexy shop sì sì è un Van Gogh” o “Sdraiato a terra come i Doors/Vestito bene via del Corso/Perdo la testa come Kevin”.

Anche se poi chi si è affermato con un proprio stile, con quattro accordi e sette paroline riconoscibili torna sempre sul luogo del delitto. Prendete Arisa, ad esempio, che con Mi sento bene sembra recuperare il testo e le sonorità di Sincerità: “Credere all’eternità è difficile/Basta non pensarci più e vivere/e chiedersi che senso ha?”. C’è poco di rilevante da aggiungere se non che le dediche, “in memoria di”, si allargano dal particolare all’universale come un ventaglio di pretese: Anna Tatangelo sembra aver scritto un testo per parlare al suo Gigi (“Se si ha il coraggio di ricominciare/ma non è facile quando si perde la complicità”), Enrico Nigiotti a suo nonno defunto (“Mi mancano i tuoi fischi mentre stai a pisciare/mi manca la Livorno che sai raccontare”), Motta addirittura all’Italia intera con un ritornello ecumenico alla Vecchioni/Fossati: “Dov’è l’Italia amore mio? Mi sono perso anch’io”. Per tutti vale però la lezione di Ultimo, nomen omen, che con I tuoi particolari si arrende all’infinito, getta le armi degli ultimi Mogol in crisi d’identità: “Se solamente Dio inventasse delle nuove parole potrei dirti che/siamo soltanto bagagli”. Amen.

 

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