“Nella sua logica di imprenditore colluso con la camorra, Adolfo Greco non concepisce assolutamente che non si possa assecondare una richiesta proveniente dal clan”. È uno dei passaggi chiave delle nove pagine di motivazioni con le quali la decima sezione del Riesame di Napoli – presidente Elena Valente, giudice estensore Claudia Picciotti – ha confermato l’arresto in carcere dell’imprenditore di Castellammare di Stabia, monopolista storico della distribuzione del latte, al centro di una inchiesta della Dda di Napoli – pm Giuseppe Cimmarotta, procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli – sul pizzo imposto dai clan del territorio stabiese e dei Monti Lattari ad alcuni imprenditori della grande distribuzione alimentare e casearia. Inchiesta che lambisce le relazioni di Greco con la politica, che non sono oggetto della custodia cautelare ma ricorrono spesso nelle informative della Questura allegate al fascicolo.
Greco è detenuto da inizio dicembre nel penitenziario di Secondigliano con accuse di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per aver mediato tra i clan e le vittime, inducendole a pagare. Ma il provvedimento dei magistrati del Riesame pare delineare ulteriori accuse di concorso esterno in associazione camorristica. Nella parte in cui si sottolinea la figura dell’imprenditore colluso e dai trascorsi cutoliani che “pur vessato dai clan ai quali versa denaro con cadenza periodica ed in via continuativa negli anni, trae al contempo un proprio personale vantaggio in nome del quale pone a disposizione del gruppo i propri servigi”. Ed “il tema del vantaggio – si legge – permea in sé il contesto ambientale che costituisce lo sfondo delle vicende”. Quale sarebbe stato il vantaggio di Greco? Secondo le dichiarazioni del pentito Salvatore Belviso, l’imprenditore avrebbe ottenuto il monopolio della distribuzione del latte grazie al rapporto con il boss Pasquale D’Alessandro. “Nella stessa direzione” le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia, Renato Cavaliere: “Greco aveva assunto una tale posizione di dominio sul territorio che nessuno osava mettergli i bastoni tra le ruote ed in virtù dei suoi legami coi vari clan presenti sul territorio, riusciva ad ottenere ciò che desiderava”.
A rafforzare le esigenze cautelari anche la circostanza del ritrovamento, il giorno dell’arresto, di circa 2 milioni e 700mila euro in contanti nascosti dietro ad un muro scorrevole. Bisogna capire, secondo i giudici, la provenienza del denaro e chi sia il nome, Crispino, segnato su un post it attaccato su una mazzetta da circa 25mila euro. “Appare evidente — si legge nelle motivazioni — che non soltanto il rischio di recidiva sia attuale e concreto, ma anche che lo stesso sia preservabile solo attraverso l’estremo rimedio custodiale (il carcere, ndr) in considerazione di plurimi elementi di valutazione: la centralità dei luoghi di pertinenza dell’indagato rispetto alle condotte criminose (si pensi agli incontri nello stabilimento e al ritrovamento del denaro nell’abitazione); la necessità di recidere i contatti con il territorio, la cui natura tentacolare e diffusa non consente di ritenere idonea neanche il divieto di dimora a Castellammare o gli arresti domiciliari in altra città. Gli avvocati di Greco, Vincenzo Maiello e Michele Riggi, proporranno ricorso in Cassazione.
*Nella foto Adolfo Greco con Luca Cordero di Montezemolo a Castellammare di Stabia il 20 febbraio 2013