Tecnologia

Il frigorifero che spia i clienti del supermercato, la nuova era del marketing invasivo

Negli Stati Uniti è iniziato il programma pilota per la diffusione di frigoriferi che spiano i clienti per spingerli a comprare di più e aderire alle offerte. Un'indicazione preoccupante delle pubblicità troppo aggressive e dei rischi per la privacy di cui potremmo essere vittime.

Il vostro barista di fiducia sa come preferite il caffè, e vi fa piacere che vi serva senza nemmeno chiedervi che cosa gradite. Se il frigorifero facesse lo stesso sareste contenti? Non l’elettrodomestico di casa, bensì il frigo a vetro di un negozio. La domanda sorge spontanea leggendo una notizia che riguarda la catena Walgreens, che negli Stati Uniti vende farmaci, bevande,  snack e altro. I proprietari hanno sottoscritto un contratto con l’azienda Cooler Screens per la fornitura di frigoriferi di tipo “We’re watching you” (ti stiamo guardando). Una definizione piuttosto agghiacciante, che rende bene l’idea di quello che fanno.

I nuovi modelli hanno diverse particolarità. La prima – e la più preoccupante – è che ci sono videocamere e sistemi avanzati che analizzano i volti degli acquirenti mentre osservano i prodotti. Stando alle fonti, il software non effettua un riconoscimento facciale vero e proprio – che in alcuni stati americani è illegale – ma i sensori di prossimità e le mappe di calore indicano al software quando un potenziale acquirente si avvicina al frigorifero. Poi mediante il tracciamento dell’iride il software calcola che cosa sta attirando l’attenzione del cliente. Cliente di cui vengono “prese” (senza previa autorizzazione) anche le dimensioni della mascella, la distanza fra gli occhi e altre caratteristiche. Tecnicamente non sarà un riconoscimento facciale “vero e proprio”, ma i dati sembrano sufficienti per riconoscere il cliente quando tornerà davanti al frigorifero. Infine, i sensori di apertura e chiusura della porta indicano che l’acquirente ha deciso l’acquisto. A questo punto è facile capire anche che cos’ha preso, sempre mediante sensori, e compilare in automatico dati sulle vendite in tempo reale.

Foto: Depositphotos

 

L’altra singolarità è che con questi nuovi modelli, rispetto ai frigoriferi convenzionali con sportello a vetro, non si guardano i prodotti reali, ma si osservano schermate con una rappresentazione digitalizzata dei prodotti disponibili, chiamata planogramma. Gli schermi e i sensori legati all’Internet degli Oggetti sono prodotti dalla cinese Foxconn, produttrice di molti componenti per PC e smartphone. I primi modelli sono stati installati il 14 gennaio a Chicago, seguiranno altri punti vendita di New York e San Francisco.

Lo scopo di questo sforzo tecnologico è fin troppo evidente: vendere di più e meglio, con buona pace della privacy degli avventori. La questione non finisce qui. Il fatto che l’utente non veda i prodotti, ma uno schermo digitalizzato, permette al gestore di “piazzargli” davanti agli occhi promozioni personalizzate a cui è più incline ad aderire. Una forzatura. Oltre che nascondere l’eventuale scarsa cura nella disposizione dei prodotti, o la presenza di confezioni rovinate o sporche.

La demo del programma pilota di Wallgreens

 

Quello che stona guardando il progetto nel suo complesso non è “solo” la sconfitta della privacy, o “solo” il marketing invasivo. È che tutto gioca a favore del rivenditore. Il cliente perde di identità, di importanza, di capacità senziente, per ridursi a un’entità che deve fare il suo compito: comprare la bevanda che la macchina ha deciso per lui. Tutto in cambio di una falsa comodità, perché alla fine deve comunque aprire uno sportello e prelevare una bottiglia. Il barista di cui parlavamo all’inizio sa che caffè preferiamo, ma per lui siamo clienti abituali, quindi persone importanti per l’attività, da rispettare e da servire con impegno.

Il Wall Street Journal aggiunge che nel programma pilota Cooler Screen sarebbero coinvolte anche Nestlé, MillerCoors e Contra. Sarebbe ora di riflettere sul rapporto fra costi e benefici di certe novità hi-tech.