C'è un punto in comune tra la richiesta di archiviazione dei pm e la relazione con cui i giudici hanno chiesto l'autorizzazione a procedere al Senato per il ministro dell'Interno accusato di sequestro di persona aggravato, nel caso dei migranti della nave Diciotti. Ed è un punto a sfavore per il segretario della Lega: per l'autorità giudiziaria la decisione di "ritardare" lo sbarco dei migranti fu in capo al vicepremier
Gli stessi fatti, ma due interpretazioni giuridiche opposte. Eppure c’è un punto in comune tra la richiesta di archiviazione della procura di Catania e la relazione con cui il Tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere al Senato per Matteo Salvini accusato di sequestro di persona aggravato, nel caso dei migranti della nave Diciotti. Ed è un punto a sfavore per il segretario della Lega. I senatori della Giunta per le Immunità dovranno decidere se, tenendo per cinque giorni 177 migranti (tra i quali 10 donne e 29 minorenni) a bordo dell’imbarcazione della Guardia Costiera, il responsabile del Viminale abbia commeso un atto politico insindacabile – come lo considera la procura guidata da Carmelo Zuccaro – o un atto amministrativo con finalità politiche che ha rilevanza penale, come invece lo definiscono i magistrati presieduti da Nicola La Mantia. Leggendo la richiesta d’archiviazione della procura, emerge che per l’autorità giudiziaria la decisione di “ritardare” lo sbarco dei migranti fu in capo al vicepremier. Una sua decisione che quindi – nell’interpretazione dei giudici – è un “veto arbitrario” posto dal solo Salvini, quando permise lo sbarco delle persone a bordo, solo dopo cinque giorni dall’autorizzazione.
Procura di Catania: “Decisione riconducibile a Salvini”
A individuare il titolare del Viminale come unico autore di quella decisione, è Zuccaro, nonostante nelle intenzione del procuratore etneo il ministro fosse da archiviare. “La riconducibilità al ministro dell’Interno Salvini della decisione di trattenere i migranti su nave Diciotti per il periodo in contestazione può ritenersi accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, e ciò in primo luogo sulla base delle stesse pubbliche esternazioni dell’interessato, che possono ritenersi fatto notorio per l’ampio risalto mediatico voluto dallo stesso, che ha rivendicato la paternità di tali scelte riconducendole alla strategia politica da lui vigorosamente sostenuta sia nella sua veste di leader del partito della Lega, che del controllo dei flussi migratori ha fatto uno dei temi principali del suo programma politico, sia nella veste istituzionale di vice presidente del Consiglio dei ministri e di ministro dell’Interno, iscrivendo tale problematica tra i punti principali dell’agenda politica di governo”. L’ufficio inquirente voleva fare cadere le accuse contro il leader della Lega: queste parole contenute nella richiesta d’archiviazione sono però servite ai giudici per chiederne il processo. Adesso, però, il premier Giuseppe Conte, il vicepremier Luigi Di Maio e il ministro Danilo Toninelli rivendicano da parte dell’intero esecutivo la gestione del caso Diciotti.
Modifica della procedura: anche Aquarius, Maersk e ancora Diciotti
Del resto, scrive sempre la procura, “la veridicità di tale rivendicazione risulta” anche dalle testimonianze dei prefetti: Gerarda Pantalone, capo del Dipartimento Libertà civili e Immigrazione del ministero dell’Interno e del prefetto Bruno Corda, vicecapo dello stesso Dipartimento. Da queste testimonianze è emerso che Salvini è intervenuto nella fase Sar (ricerca e salvataggio) con “una sostanziale modifica”: allungare i tempi di trattenimento dei migranti. Ed è nelle relazione del Tribunale dei ministri che compare il verbale di Pantalone in cui viene spiegato il ruolo di Salvini nel rallentamento della procedura a partire dal 17 agosto: “Il ministro dell’Interno non ha ancora formalmente comunicato il Pos (il porto sicuro, ndr.) e quindi tutta la catena di comando, dal centro verso la periferia, rimane bloccata in attesa delle determinazioni di carattere politico del signor ministro dell’Interno”. Proprio nella richiesta di archiviazione viene spiegato come con le nuove direttive di Salvini il capo del Dipartimento dell’Immigrazione, prima di assegnare il porto sicuro, debba investire della questione il capo di Gabinetto. Quest’ultimo riferisce poi al ministro “che ha inteso riservare a sé la decisione finale circa il rilascio del benestare allo sbarco in un porto italiano, al fine di verificare preventivamente la possibilità di condividere con gli altri Paesi dell’Unione europea l’onere dell’accoglienza dei numerosi migranti provenienti da Paesi extracomunitari e soccorsi in situazioni di pericolo”. Procedura che – come fa notare lo stesso Zucchero – è stata già applicata per Aquarius (del 9 giugno e rilascio dello stesso il 17 giugno) e Alexander Maersk (il 21 giugno e rilascio il 24 giugno), sempre Diciotti (8 luglio e rilascio il 12 luglio). Chiedendo l’archiviazione del ministro, perché quello commesso è un “atto politico insindacabile”, la procura individua addirittura dei precedenti. Quei tre casi indicati da Zuccaro non sono stati oggetto di indagine ma, seguendo la logica contenuta nella posizione del tribunale dei ministri, potrebbero anche diventare oggetto di approfondimento.
Reato configurabile per condotta omissiva e il ritardo
La stessa procura di Catania, tra l’altro, sostiene come sia “innegabile che il reato astrattamente configurabile si sarebbe realizzato in questo caso attraverso una condotta omissiva, la mancata assegnazione del Pos (il porto sicuro, ndr) che costituisce certamente espressione di una volontà politica chiaramente enunciata dal ministro Salvini nella veste di organo di vertice di un ministero che istituzionalmente ha un ruolo di primo piano nell’elaborazione della politica governativa di controllo dei flussi migratori e ha esclusiva competenza nell’adozione degli atti di alta amministrazione ai fini della gestione dell’accoglienza dei migranti”. La procura quindi chiedeva dunque di “valutare se il ritardo nell’indicazione del porto sicuro derivante dalla mancata autorizzazione allo sbarco da parte del ministro dell’Interno trovi o meno giustificazione in un potere conferito allo stesso ministro dell’Interno e, in caso positivo, se il potere sia stato esercitato nell’interesse pubblico”. Per Zuccaro la risposta era affermativa.
“Esercizio politico” vs “illecita privazione della libertà”
Opposta completamente la visione del tribunale dei ministri: dietro l’attendismo a non dare esito tempestivamente non c’era un interesse pubblico, come esigenze di ordine pubblico, “non c’erano ragioni tecniche ostative allo sbarco bensì la volontà politica del senatore Salvini di portare all’attenzione dell’Ue il caso Diciotti per chiedere ai partner europei una comune assunzione di responsabilità del problema della gestione dei flussi migratori, sollecitando una redistribuzione dei migranti sbarcati in Italia”. Ma se per la procura “l’omessa indicazione” del porto sicuro “costituisce esercizio di un potere politico o quanto meno di alta amministrazione a lui attribuito dall’ordinamento e finalizzato al perseguimento di un interesse pubblico nazionale, come tale insindacabile da parte del giudice penale per il principio della separazione dei poteri”, per i giudici invece non c’era nessun “giustificato motivo” e quel ritardo ha configurato una “illecita privazione della libertà”. Per i giudici, infatti, il sequestro dei migranti inizia proprio quando, dato il via libera per lo sbarco, le persone venivano tenute per cinque giorni sulla nave militare sotto il sole e in condizioni precarie.