Papa Francesco parte per gli Emirati Arabi, primo Pontefice della storia a mettere piede nella penisola araba, ma guarda allo Yemen. Sono ormai quattro anni che il paese è dilaniato da una guerra rovinosa che sta facendo strage di civili. Già il 25 dicembre, durante l’Urbi et Orbi, Bergoglio ha incoraggiato il negoziato di pace che si è aperto in Svezia per fermare il conflitto, che vede da una parte il governo yemenita, sostenuto da una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita, e dall’altra i ribelli Houthi, appoggiati dall’Iran.
Bergoglio segue la crisi umanitaria con “grande preoccupazione”, dice alla fine dell’Angelus della domenica, poco prima di prendere l’aereo per Abu Dhabi. La popolazione è stremata e non si riesce ad accedere ai depositi di alimenti: “il grido di questi bambini e dei loro genitori sale al cospetto di Dio”, dice. L’appello alle parti e alla Comunità internazionale arriva ancora prima di partire: “Per favorire, con urgenza, osservate gli accordi raggiunti, assicurate la distribuzione del cibo e lavorate per il bene della popolazione”. Nei tre giorni scarsi che trascorrerà negli Emirati, fino al 5 febbraio, il Papa prenderà parte a una grande conferenza interreligiosa, insieme ad altri 700 leader, dove incontrerà ancora Ahmed al-Tayeb, che il Pontefice argentino conosce bene: è l’imam di Al-Azhar, il centro studi più prestigioso dell’Islam sunnita. Al suo ex consigliere, Mohamed Mahmoud Abdel Salam, il Papa ha appena concesso l’onorificenza di ‘Commenda con Placca dell’Ordine Pianò, per “l’eccellente lavoro svolto dallo stesso nel dialogo interreligioso e nel rafforzamento delle relazioni tra Al-Azhar e la Chiesa Cattolica”. Prima dell’incontro, vedrà in privato nella Grande moschea i membri del Muslim Council of Elders.
“Mi reco in quel Paese come fratello, per scrivere insieme una pagina di dialogo e percorrere insieme sentieri di pace”, spiega il Pontefice su Twitter. La visita cade a 800 anni da uno dei più straordinari gesti di pace della storia: l’incontro di San Francesco con il sultano d’Egitto Malik al Kamil. Dalla preghiera attribuita al Santo di Assisi è stato tratto il motto del viaggio: ‘Fammi canale della tua pacè. Al netto del dialogo interreligioso, l’evento più atteso è un altro. Nell’anno indicato dal governo emiratino come ‘l’anno della tolleranza’, la concessione fatta al Vaticano è grande: celebrare la prima e la più grande messa pubblica che si sia mai tenuta nella penisola, in uno stadio. L’attesa è grande, i 135mila biglietti messi a disposizione sono andati esauriti. Per l’occasione, il 5 febbraio, sarà considerato festivo per tutti i dipendenti che vorranno prendere parte alla celebrazione del Papa.
Il Golfo Persico accoglie centinaia di migliaia di lavoratori cristiani immigrati, provenienti da tanti Paesi dell’Asia e dell’Africa. Solo negli Emirati sono circa un milione, cioè il 10% della popolazione. Una vera e propria ‘Chiesa migrante’. Quanto alla situazione negli Emirati, però, le organizzazioni per i diritti umani scalpitano. Nel paese, la libertà d’espressione è repressa costantemente e Amnesty International ha chiesto al Papa di sollevare la questione. “Dal 2011 le autorità hanno sistematicamente ridotto al silenzio le voci critiche, come quelle dei giudici, degli avvocati, degli accademici, degli studenti e dei giornalisti attraverso gli arresti arbitrari, le sparizioni forzate e la tortura”, denuncia Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente dell’organizzazione. La visita del Pontefice toglierà certamente il Paese dal cono d’ombra, ma gli attivisti avvertono: “Ci vorrà ben altro che una serie di incontri simbolici per nascondere questa drammatica situazione dei diritti umani”.