Facebook oggi compie 15 anni. Gli attuali 2,2 miliardi di utenti attivi che ha nel mondo forse non ricordano che il 4 febbraio 2004 il figlio di un noto dentista e una psichiatra, in una delle camere del dormitorio di Harvard, ha dato il via a una rivoluzione che è stata paradigmatica per la storia del Web. Mark Zuckerberg, evidentemente un po’ fuori dai giri universitari che contano, ha immaginato una piattaforma che agevolasse rapporti e amicizie nel campus. Appunto, un “social network” ante litteram. “The social network”, dal film biopic del 2010 che ne ha svelato i retroscena.
Come un blob digitale Facebook ha raggiunto tutte le università della Ivy League (Yale, Princeton, Columbia, etc.), poi tutte le altre statunitensi e nel resto del mondo. Dopodiché non rimaneva che superare i confini dei campus e trasformare il profilo utente in una sorta di passpartout sociale. “Chiedere l’amicizia” è diventata prassi, al di là delle convenzioni, dei confini, delle culture e delle religioni. Oggi cittadini, aziende, associazioni, animali domestici, istituzioni e qualsiasi componente della realtà ha un profilo Facebook.
Il primo effetto collaterale di questo cambiamento si è manifestato con lo sdoganamento del narcisismo digitale e l’apparente azzeramento delle distanze di status. Il tutto alimentato da un’inconsapevole rarefazione del concetto di privacy. Più si nutriva il blob, fornendo dati personali, i propri hobby, frequentazioni, foto, video e ogni altra informazione, e più si “abbattevano” barriere sociali. Facebook ovviamente oggi non è più solo questo, ma i fili che si nascondono dietro alla dipendenza che ha saputo alimentare sono manifesti. Ed era quindi prevedibile che prima o poi come in una tela di un ragno il mondo si sarebbe accorto delle implicazioni.
Il Garante delle Comunicazioni nel suo ultimo bollettino trimestrale di gennaio 2019 ha svelato che l’audience italiano di Facebook a settembre 2018 ha raggiunto le 35,7 milioni di unità. In pratica l’80% degli utenti online passa il suo tempo sul noto social network ed entrando nei dettagli la stima è di circa 50 minuti in media al giorno. Una soglia talmente preoccupante, che fa comprendere quanto sia emblematico il recente caso di una segretaria bresciana part-time licenziata per aver generato 4mila accessi a Facebook in un anno dalla sua postazione PC in uno studio medico. La Cassazione pochi giorni fa ha respinto definitivamente il suo ricorso riconoscendo ogni legittimità alla scelta del datore di lavoro.
L’abuso di Facebook ruba il tempo, ma la merce più preziosa sono i dati. Questo asset è alla base del suo modello di business, che ha generato proprio nell’ultimo trimestre del 2018 ben 6,88 miliardi di dollari. Un “utente profilato” è merce preziosa non solo per la pubblicità ma per qualsiasi azienda o istituzione politica. La navigazione a vista di Zuckerberg a volte ha ridotto o mascherato gli abusi, ma recentemente sembra che bussola e timone abbiano smesso di funzionare adeguatamente.
Solo nel 2018 Zuck ha dovuto gestire più di una dozzina di scandali. A febbraio il caso dei 13 funzionari della Internet Research Agency russa che sono stati accusati di aver creato profili fake su Facebook e Instagram per condizionare le elezioni statunitensi. A marzo le Nazioni Unite hanno evidenziato le responsabilità di Facebook nella diffusione di fake news relative a al gruppo etnico Rohingya in Myanmar. Sempre a marzo è esploso il caso di Cambridge Analytica, la società che ha sfruttato i dati di milioni di utenti statunitensi – accedendo ai database di Facebook – per condizionare le elezioni presidenziali del 2016. Ad aprile Zuckerberg per questo incidente è stato costretto a testimoniare di fronte al Congresso. E così via per il resto dell’anno fino a ai primi timidi tentativi di aggiornamento della policy in materia di privacy.
Ma anche sull’azione di arginamento delle fake news bisogna registrare il recente passo indietro dell’agenzia stampa Associate Press e della specialista anti-bufale Snopes. Avrebbero dovuto fare i cani da guardia per Facebook, ma a dicembre tutto è finito. E pare che i motivi di questo abbandono sia legati a un’eccessiva mancanza di trasparenza della piattaforma.
Insomma, a 15 anni dalla nascita, la corsa in ascensore di Facebook sembra essere sempre di più verso un ipotetico patibolo, più che verso l’Olimpo.