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Israele, il turismo nei Territori occupati è il grande business delle agenzie on line

Un rapporto dal titolo Destinazione occupazione, diffuso da Amnesty International la settimana scorsa, accusa le agenzie on line di prenotazione Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor di alimentare le violazioni dei diritti umani contro i palestinesi, promuovendo centinaia di destinazioni negli insediamenti israeliani all’interno dei Territori occupati, compresa Gerusalemme Est.

Negli ultimi anni il governo israeliano ha investito moltissimo nello sviluppo dell’industria turistica negli insediamenti. Definisce determinate destinazioni “luoghi turistici” per giustificare la confisca di terre e abitazioni palestinesi e spesso costruisce intenzionalmente insediamenti nei pressi dei siti archeologici per porre enfasi sulle connessioni storiche del popolo ebraico con la regione.

Le agenzie on line di prenotazione stanno al gioco, spesso non informando i loro clienti che le destinazioni sono situate all’interno degli insediamenti israeliani. È un grande business per tutti, salvo per i palestinesi. Il contrasto tra l’esperienza turistica offerta negli insediamenti e le violazioni dei diritti umani inflitte quotidianamente ai palestinesi nelle stesse zone non potrebbe essere più stridente.

Al momento della stesura del rapporto di Amnesty International, la situazione era la seguente: Airbnb, che pure si era impegnata a rimuovere dalle sue destinazioni gli insediamenti in Cisgiordania – ma non da Gerusalemme Est – promuoveva oltre 300 proprietà. TripAdvisor oltre 70 tra attrazioni, tour, ristoranti, bar, alberghi e appartamenti in affitto. Booking.com 45 alberghi e affitti. Expedia nove destinazioni di soggiorno, tra cui quattro grandi alberghi.

Uno degli insediamenti menzionati nel rapporto di Amnesty International è Kfar Adumim, centro turistico in crescita situato a meno di due chilometri dal villaggio beduino di Khan al-Ahmar, la cui imminente e totale demolizione da parte delle forze israeliane ha recentemente ottenuto il via libera dalla Corte suprema. Per far spazio all’espansione di Kfar Adumim e di altri insediamenti vicini, circa 180 abitanti di Khan al-Ahmar rischiano lo sgombero forzato da parte dell’esercito israeliano.

“Campeggio nel deserto israeliano”, la campagna promossa da Airbnb, Booking.com ed Expedia, propone ai visitatori, a un costo che arriva fino a 235 euro a notte, “un’esperienza nella tranquillità del deserto e un assaggio della calda ospitalità israeliana”, peraltro su terreni che i beduini utilizzavano per pascolare. TripAdvisor invece propone un parco nazionale, un museo, un tour nel deserto e un’attrazione a tema biblico.

Dalla fine degli anni Novanta due villaggi palestinesi nei pressi di Silo hanno perso oltre 5500 ettari di terra. Molte persone sono andate via e chi rimane è soggetto a frequenti attacchi da parte di coloni armati. Airbnb, Booking.com e TripAdvisor includono tra le loro destinazioni Silo, ma solo Booking.com spiega che si tratta di un insediamento israeliano.

Amnesty International ha anche visitato il villaggio di Khirbet Susiya, dove gli abitanti palestinesi vivono in rifugi temporanei dopo essere stati sgomberati con la forza da buona parte dell’area per fare spazio all’espansione dell’insediamento di Susiya. Le autorità israeliane hanno chiuso le cisterne d’acqua e i pozzi di Khirbet Susiya. Nel 2015 le Nazioni Unite stimavano che un terzo del reddito degli abitanti venisse speso per acquistare acqua. Susiya è circondata dalle rovine di un sito archeologico che, al momento della stesura del rapporto, era promosso sia da Airbnb che da TripAdvisor con fotografie dei luoghi da visitare: le rovine, un oliveto, una cantina, una vigna e una grande piscina.

Come noto, non è solo l’industria del turismo a trarre profitto dagli insediamenti israeliani e a contribuire a questi ultimi. Beni prodotti negli insediamenti israeliani per un valore di centinaia di milioni di euro vengono esportati ogni anno, nonostante la maggior parte degli Stati del mondo abbia condannato gli insediamenti come illegali dal punto di vista del diritto internazionale.

Oltre a chiedere alle singole aziende di cessare di fare affari negli e con gli insediamenti, Amnesty International sta sollecitando i governi a vietare per legge l’importazione di beni prodotti negli insediamenti. Il parlamento irlandese ha approvato un disegno di legge per proibire il commercio di beni e servizi con gli insediamenti israeliani. Amnesty International sta chiedendo agli altri Stati di fare altrettanto.

Prima della pubblicazione del suo rapporto, Amnesty International ha scritto alle quattro agenzie fornendo loro l’opportunità di replicare. Booking.com ed Expedia lo hanno fatto, Airbnb e TripAdvisor no. Amnesty International ha esaminato le risposte in dettaglio e ha preso in adeguata considerazione le informazioni in esse contenute per aggiornare le sue ricerche. Le risposte sono state pubblicate nell’appendice al rapporto.