Erano state create negli anni ’70 per proteggere il quartiere Tamburi di Taranto, per non farlo soffocare, provando a fungere da barriera rispetto alle polveri dei parchi minerari dell’allora Italsider. Quarant’anni dopo, si scopre che le “collinette ecologiche” del siderurgico sono in realtà immense discariche abusive di rifiuti industriali. Hanno già contaminato i terreni con sostanze altamente tossiche e cancerogene. E ora si teme per la falda. Sono stati i carabinieri del Noe di Lecce, al comando del maggiore Dario Campanella, ad apporre i sigilli, questa mattina: sotto chiave sono finiti nove ettari di proprietà dell’Amministrazione straordinaria dell’Ilva e ora nella disponibilità di ArcelorMittal. Il decreto di sequestro preventivo d’urgenza è stato emesso dal pm Mariano Buccoliero e l’inchiesta per concorso in getto pericoloso di cose e gestione di rifiuti non autorizzata è, al momento, a carico di ignoti.
Quell’area a ridosso della Statale 7 sembra un parco, come tanti. La Procura ne ha disposto il sequestro immediato anche per questo: “Occorre impedire – è scritto nel provvedimento – che la zona possa essere frequentata da ignari cittadini (ingannati dal verde presente)”, visto che è facilmente raggiungibile attraverso accessi e stradine percorribili a piedi. Altro che polmone verde. Le analisi effettuate da Arpa Puglia hanno confermato il pesante inquinamento in corso: nei terreni sono state ritrovate sostanze altamente tossiche e cancerogene, come diossine, furani, Pcb, idrocarburi pesanti, benzoapirene, alluminio e ferro. Tutte in concentrazioni che hanno superato i limiti di legge. Sono le conseguenze del tombamento di tonnellate di scarti di lavorazione dell’acciaio, quali scorie d’altoforno e loppa, per decenni esposte agli agenti atmosferici senza alcun presidio ambientale che potesse tutelare le matrici ambientali.
È stata Arpa Puglia, nel maggio scorso, a segnalare alla Procura di Taranto il rischio, che potrebbe anche essere di proporzioni più estese: quelle collinette create artificialmente, infatti, coprono un’area di almeno 50 ettari. Mai è stata fatta una caratterizzazione, per capire che tipo di contaminanti ci siano. Eppure, alcuni piezometri, i pozzi spia realizzati per monitorare le acque sotterranee, avevano evidenziato da tempo la presenza di sostanze nocive. Gli accertamenti del Noe di Lecce, delegato alle indagini, hanno ricucito i primi tasselli: nessuna autorizzazione è stata mai rilasciata per realizzare quello che il pm ha definito un “incredibile accumulo di rifiuti”. Le analisi chimiche di Arpa hanno fornito poi riscontri inequivocabili. Ironia della sorte, come detto, quelle collinette frangivento erano state realizzate per tenere a bada la dispersione delle polveri e le emissioni odorigene. Contengono, invece, “sostanze pericolosissime per la salute e per l’ambiente”.
Per il sostituto procuratore Buccoliero, “occorre intervenire tempestivamente, con la messa in sicurezza ed eventuale bonifica, per impedire che il reato possa giungere a conseguenze ben più gravi come l’avvelenamento della falda sottostante e la dispersione in area urbana delle sostanze tossiche presenti”, tenuto conto anche della vicinanza al quartiere Tamburi. È una maledizione che si ripete. Altre collinette simili sono state create in un’altra porzione del siderurgico, ad esempio al confine con la gravina di Leucaspide, nel territorio di State. Lì, come accertato in un’altra inchiesta per disastro ambientale che vede indagate 21 persone, dal 1995 in poi sono stati sversati 5 milioni di metri cubi di rifiuti industriali. Stavolta, la prossimità alle abitazioni fa tremare ancora di più tutta Taranto.