Tanto tuonò che piovve: l’Istat ha registrato la seconda variazione trimestrale negativa del prodotto interno lordo e dunque l’Italia è in recessione. Posto che dopo il calcio lo sport preferito nel nostro Paese è lo scaricabarile tra governo e opposizione, è partita la prevedibile gara ad attribuire alla parte avversa la “paternità” della congiuntura negativa.
Quando ho saputo che in un’altra sala di questo palazzo, Di Maio stava dicendo che i dati ISTAT sulla recessione proverebbero che i governi precedenti hanno mentito, ho chiesto la parola e ho chiesto che quel vigliacco venga qui in aula a dire queste cialtronate. pic.twitter.com/mUZa5st1mW
— Luigi Marattin (@marattin) January 31, 2019
Chi ha ragione? Proviamo a valutarlo senza pregiudizi. In primo luogo occorre osservare che, in linea di massima, la maggior parte delle variabili macroeconomiche non rispondono in “tempo reale” all’attività svolta dal governo in carica. Dunque le principali determinanti della recessione osservata sotto il governo Lega-M5s andrebbero ricercate nelle politiche economiche poste in essere dai governi precedenti.
Dunque assoluzione piena per l’esecutivo gialloverde? È ancora presto, lasciamoli lavorare? Niente affatto: come evidenziato anche in passato su questo blog, dal suo insediamento il governo Conte ha promosso un clima di incertezza in merito alle misure di politica economica, che ha inciso negativamente sulle aspettative degli operatori finanziari producendo un aumento immediato dello spread Btp-Bund, che ha toccato massimi pari a quasi tre volte quanto registrato durante il governo precedente e che solo di recente si sta assestando intorno a un livello 2,5 volte superiore.
L’aumento del rischio Paese ha fatto crescere il costo di finanziamento per tutta l’economia (ricordiamo in particolare quanto onerosa sia stata l’ultima emissione obbligazionaria per Unicredit) e questo – unitamente all’atteggiamento conflittuale tenuto nei confronti della Commissione europea e dell’incognita in merito alle clausole di salvaguardia presenti nell’ultima manovra finanziaria – hanno sicuramente influenzato negativamente le scelte di investimento delle imprese e di consumo delle famiglie.
Per riassumere, anche se di norma le conseguenze delle scelte di governo si vedono dopo un certo intervallo temporale, Lega e M5S sono riusciti a incidere sul sistema economico con effetto pressoché immediato, perché hanno veicolato la prospettiva di un sensibile e imminente deterioramento per le finanze pubbliche (come rilevato dalla possibile procedura d’infrazione per deficit eccessivo) e di un’accresciuta probabilità di verificarsi di eventi catastrofici, come l’uscita dall’euro e il default sul debito sovrano.
A chi va attribuita, allora, la responsabilità della situazione attuale? Come evidenziato in questo video – dove l’economista Michele Boldrin discute del declino del nostro Paese con uno dei più acuti commentatori economici indipendenti in circolazione che scrive sotto lo pseudonimo di SignorErnesto – si tratta di un fenomeno che viene da lontano.
La crescita del Pil pro capite in termini reali (rappresentata in questo grafico con media mobile a 21 anni), a cui avevamo assistito durante durante il periodo del Miracolo Italiano, si è stabilizzata nel decennio 1980-90 ed è poi andata sistematicamente riducendosi fino ai nostri giorni:
Notino come l’ingresso dell’euro negli anni 60-70 inibisca la dinamica di crescita del Valore Aggiunto dell’Industria , della Produttività Totale dei Fattori, del PIL pro capite. L’euro non è entrato negli anni 60-70? Come no?
Sicuri? Andiamo a zappare allora(VA Agricoltura) pic.twitter.com/uYSGXKi78L
— Signor Ernesto (@SignorErnesto) 5 gennaio 2019
Dunque, mentre osserviamo il non troppo edificante dibattito sulla responsabilità dell’attuale recessione, è opportuno ricordare come tutte le forze politiche in gioco (incluso il Movimento 5stelle per la prima volta al governo) siano state parte integrante del processo che ha portato al declino pluridecennale del nostro Paese; come all’esecutivo in carica spetti il primato di essere riuscito in pochi mesi ad accelerare in modo tangibile le tendenze negative mediamente registrate in ogni governo precedente; ad esasperare le tensioni sui mercati finanziari come non accadeva dall’ultima crisi di fiducia sui debiti sovrani.