Cigl, Cisl e Uil chiedono modifiche alla scala di equivalenza che prevede solo un 20% di contributo aggiuntivo per ogni figlio minorenne. Secondo l'Upb "per assicurare ai single fino a 780 euro è stata adottato un criterio che svantaggia i nuclei più numerosi", anche se proprio questi sono "più a rischio povertà". L'Alleanza contro la povertà contro il focus sul lavoro: "E' solo una delle dimensioni del disagio"
Il reddito di cittadinanza è limitato come strumento di contrasto alla povertà perché la scala di equivalenza, che prevede un contributo aggiuntivo solo del 20% per ogni figlio minorenne, “svantaggia i nuclei più numerosi” rispetto a quelli composti da una sola persona. E’ la principale critica arrivata da sindacati, Ufficio parlamentare di bilancio e Alleanza contro la povertà durante le audizioni sul decretone davanti alla commissione Lavoro del Senato. Secondo l’Upb, oltre un quarto delle famiglie più in difficoltà non sarà raggiunto dal beneficio. La Caritas ha aggiunto che il requisito di 10 anni di residenza in Italia per percepire il reddito “esclude le persone migranti regolarmente presenti sul nostro territorio e rischia di lasciar fuori le persone in grave marginalità, in particolare i soggetti senza dimora, prescindendo dalla loro cittadinanza”.
La memoria presentata da Cigl, Cisl e Uil sottolinea che la scala di equivalenza costruita per il reddito è “assai ridotta anche rispetto a quella dell’Isee” e risulta “penalizzante per i disabili e per le famiglie numerose in particolare se con minori, dato che per questi ultimi il parametro della scala di equivalenza è particolarmente ridotto”. Ad ogni componente maggiorenne della famiglia verrà infatti assegnato un ulteriore reddito pari al 40% dei 500 euro (a cui vanno eventualmente aggiunti i 280 per l’affitto) del capo-famiglia mentre per ogni figlio minorenne il contributo scende al 20%. Inoltre il tetto massimo, al netto dell’affitto, è fissato a 1.050 euro, livello che penalizza le famiglie numerose. I sindacati, quindi, chiedono di riportare “la scala di equivalenza al livello dell’Isee, prevedendo apposite maggiorazioni in caso di presenza di disabili nel nucleo beneficiario”. Inoltre, “chiediamo la determinazione di un importo aggiuntivo a copertura dei costi dell’abitare poiché il massimale piuttosto contenuto penalizza nuovamente le famiglie numerose con minori”. Lunedì, in audizione, il rappresentante dell’Istat aveva rilevato che le coppie con figli minorenni che riceveranno il reddito “sono circa 260mila (il 19,6% delle famiglie beneficiarie) e percepiranno, in media, 6.470 euro, quindi meno delle coppie con figli tutti adulti (che percepiranno 7.041 euro) per effetto delle scale di equivalenza”.
“Per garantire 780 euro ai single svantaggiati i nuclei numerosi” – Anche per il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, il reddito presenta “l’aspetto critico principale come strumento di contrasto alla povertà” a causa della scala di equivalenza scelta che “svantaggia i nuclei più numerosi” rispetto a quelli composti da una sola persona. “La volontà di assicurare ai monocomponenti una soglia di 780 euro mensili, di garantire un aumento dei sussidi per i pensionati in condizioni di disagio e di fissare un importo minimo del trattamento – date le risorse disponibili – ha portato a definire una scala di equivalenza che svantaggia relativamente i nuclei più numerosi rispetto al Rei e rispetto a quanto fatto in altri paesi, sia per la presenza del tetto del 2,1 (che irrigidisce i requisiti, ad esempio, per una coppia con quattro o più figli), sia per la crescita limitata del parametro all’aumento del numero di componenti”, ha spiegato Pisauro. “Eppure è noto che oggi la povertà è diffusa soprattutto tra le famiglie numerose e con molti figli, mentre i pensionati sono relativamente meno a rischio di povertà”. Un confronto internazionale “mostra che l’importo concesso ai nuclei monocomponenti è più alto rispetto a quello riconosciuto dagli altri paesi considerati se si tiene conto che è previsto un aiuto addizionale per i costi dell’affitto; al contrario, appare relativamente più basso l’ammontare assicurato ai nuclei più numerosi”.
Stando alle stime dell’Upb il nuovo sussidio raggiungerà “il 72,5% dei nuclei in povertà assoluta“, quindi oltre un quarto delle famiglie più in difficoltà non sarebbe raggiunto. Il calcolo si ottiene confrontando le famiglie in povertà assoluta, 1,8 milioni, e la platea potenzialmente interessata dal beneficio, “1,3 milioni di famiglie per un totale di circa 3,6 milioni di individui”, cifra più alta rispetto ai 2,4 stimati dall‘Inps e ai 2,7 calcolati da Istat.
“Rischia di lasciar fuori chi è già ai margini” – La Caritas in audizione ha lamentato che il requisito di 10 anni di residenza in Italia per percepire il reddito di cittadinanza “esclude le persone migranti regolarmente presenti sul nostro territorio e rischia di lasciar fuori le persone in grave marginalità, in particolare i soggetti senza dimora, prescindendo dalla loro cittadinanza”. “Un provvedimento di contrasto alla povertà non può invece che essere inclusivo, altrimenti crea la paradossale situazione di generale o implementare condizioni di disagio grave o di diseguaglianza nell’accesso”. L’Alleanza contro la povertà nei testi depositati al Senato afferma che c’è il rischio che il reddito di cittadinanza “si riveli la strada sbagliata per rispondere alle esigenze dei poveri senza raggiungere peraltro gli obiettivi di incremento occupazionale”e che “così cresca la schiera di chi si oppone alla lotta alla povertà”. Inoltre “i minori sono ai margini del RdC” perché “da una parte vengono sfavoriti nella distribuzione dei fondi a causa della scala di equivalenza adottata e dall’altra si riduce la loro possibilità di ricevere quei servizi educativi e sociali cruciali per progettare un domani migliore”. In generale, secondo Alleanza contro la povertà, “il reddito sottovaluta nettamente il fatto che il lavoro, seppure fondamentale, è solo una tra le dimensioni della povertà”.
“Costi legati all’efficacia di controlli e condizionalità” – “L’entità effettiva del costo della misura”, ha aggiunto Pisauro, “dipenderà direttamente dall’efficacia con cui i meccanismi di condizionalità, i controlli e le sanzioni riescano almeno a garantire che i soggetti oggi occupati non modifichino le loro scelte lavorative“. Per esempio “sulla base delle analisi condotte sulla platea delle dichiarazioni ISEE presentate nel 2017, sono circa 400mila i soggetti potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza che risultano occupati” e “nel caso limite in cui tutti questi soggetti cessassero il loro rapporto di lavoro si avrebbero maggiori erogazioni per circa 2 miliardi a regime”.