E' passato per 4 voti un pacchetto di misure che prevede tra le altre cose la pubblicazione degli incontri. I "portatori di interessi" accreditati a Bruxelles sono 84, ma le persone coinvolte superano quota 500. I gruppi e le aziende sono 147. E tanti beneficiano di sovvenzioni milionarie dalla Ue
Da lunedì gli eurodeputati dovranno rendere pubblici i loro incontri coi lobbisti. E’ la prima misura di trasparenza obbligatoria delle lobby applicata ai parlamentari europei. Finora tale incombenza ricadeva solo sui commissari e i loro alti funzionari, anche se l’Europarlamento è assediato da 12mila “portatori di interesse”, più tutti quelli non censiti nel registro ufficiale che è su base volontaria. L’obbligo di pubblicare le agende investe i deputati con responsabilità nel procedimento legislativo, vale a dire relatori di maggioranza e minoranza e presidenti di commissione, ma la strada della trasparenza per tutti gli eletti è più vicina. La svolta il 31 gennaio scorso, quando il pacchetto di emendamenti sulle regole di procedura stilato dal socialista britannico Richard Corbett ha avuto, inaspettatamente, voto positivo in aula, sia pure con soli 4 voti di scarto.
L’articolo sulle lobby era bloccato da tempo in Commissione Affari Costituzionali: è stato determinante il voto favorevole dei Cinque Stelle per scongelarlo e farlo includere nel pacchetto di modifiche da sottoporre al voto a maggioranza assoluta, cioè pari ad almeno 376 deputati. Farlo passare è stata un’impresa tutt’altro che facile: i membri del centrodestra del Partito popolare europeo hanno chiesto che lo scrutinio segreto, rendendo impossibile sapere chi ha votato contro. Il risultato, per quanto ottenuto sul filo del rasoio, segna comunque un punto di svolta, come dimostra un tweet di incoraggiamento a proseguire su questa strada della vicepresidente del Parlamento, la socialista Sylvie Guillaume.
“E’ un segnale forte in vista delle elezioni europee che il Parlamento sia seriamente intenzionato ad essere trasparente sull’influenza dei lobbisti”, ha affermato Vitor Teixeira, responsabile delle politiche presso Transparency International Eu auspicando quel registro comune alle tre istituzioni europee (non più su base volontaria) per il quale erano partiti negoziati due anni fa poi rimasti fermi, fino all’accelerazione odierna.
Soddisfazione esprimono i Cinque Stelle che avevano caldeggiato una soluzione ben più radicale con l’obbligo esteso a tutti gli eletti . “Da quando sono entrata nel Parlamento Europeo – spiega l’eurodeputata Isabella Adinolfi – ho provato a realizzare questo obiettivo, partendo da me: ogni volta che incontravo un lobbista, pubblicavo online gli appuntamenti intercorsi. Sapevo però che non sarebbe stato semplice fare in modo che questo principio venisse esteso a tutti. Ora bisogna lavorare per realizzare un nuovo registro di trasparenza, la cui negoziazione purtroppo si è arenata soprattutto a causa delle reticenze del Consiglio. Per questo, continuerò a battermi”.
L’assedio di 12mila lobbisti, 500 sono italiani
Dal 2011 esiste un Registro congiunto dei lobbisti alla Commissione e al Parlamento, ma è su base rigorosamente volontaria. Riporta comunque numeri impressionanti: solo i gruppi “emersi” e registrati sono quasi 12mila. Google, stando al registro, ha accreditato 9 lobbisti e dal 2014 ha avuto 208 incontri, è la seconda in classifica; Microsoft è ottava con 112 incontri. L’Italia ha 147 società registrate e la prima è Enel con 55 incontri. I lobbisti italiani accreditati col badge per entrare nell’Europarlamento sono 84, ma le persone coinvolte a qualunque titolo nelle attività di lobbing sono oltre 500. Alcuni gruppi, come Intesa San Paolo o Eni, hanno accreditato anche 8-9 “portatori di interesse”. Dai dati pubblici, si possono rilevare il numero di incontri e la tematica generale, non gli obiettivi e il risultato.
La classifica accreditati/sovvenzionati
Le tabelle del Registro riportano anche le sovvenzioni europee ricevute che, una volta riorganizzate, per l’Italia restituiscono la seguente classifica: Ferrovie dello Stato, forte di tre persone accreditate al Parlamento Europeo, ha avuto dall’Europa 535 milioni di euro; segue Terna che di accreditati ne ha due, con 125 milioni di fondi tra programmi di innovazione e Horizon 2020; terza è Prysmiangroup che ha in pancia un pezzo della nostra Pirelli: dalla Bei ha avuto accesso a finanziamenti per 110 milioni. Leonardo è la quarta per sovvenzioni, pari 18,5 milioni, e tre persone col cartellino per l’Europarlamento in tasca. Nulla di irregolare, la trasparenza non emette giudizi. Mancano del tutto i gruppi che ancora agiscono nell’ombra, aiutati dalla mancanza di obblighi e sanzioni.
Dall’altra parte del tavolo
Finora gli unici ad avere obblighi di pubblicità degli incontri, come detto, erano i commissari e i loro capi di gabinetto e direttori generali. L’obbligo consiste nell’incontrare solo le lobby registrate e informare pubblicamente gli appuntamenti ed è intervenuto nel 2014. Una volta lasciato l’incarico è “liberi tutti”, con pericoloso rovescio della medaglia: la scarsa trasparenza nelle relazioni tra esponenti istituzionali e gruppi di interesse ha creato il sistema delle “porte girevoli” per cui il politico che finisce a libro paga di multinazionali, banche d’affari e società di lobbing in rapporti continui con le istituzioni che il loro “consulente” guidava o frequentava fino al giorno prima.
Al soldo delle lobby (o col paracadute)
Transparency International sin dal 2017 indicava che fossero il 50 per cento gli ex commissari passati a lavorare per potentissime lobby del settore privato, tra le quali Bank of America e Volkswagen. Il caso più eclatante, e censurato, è quello di José Manuel Barroso, un passato decennale alla guida della Commissione Ue e un presente da presidente non esecutivo della banca d’affari Goldman Sachs. Ma è la punta di un iceberg. Il belga Karel De Gucht, ex commissario ai trasporti espresso dai liberali dell’Alde, è direttore del colosso mondiale dell’acciaio ArcelorMittal, sta nei board della telefonica belga Proxima e delle assicurazioni Merit Capital NV, nonché del fondo londinese di private equity CVC Capital Partners. Connie Hedegaard, ex commissario danese per le azioni sul cambiamento climatico è membro del consiglio per la sostenibilità di Volkswagen. E via dicendo. Tra gli eletti italiani più degli incarichi d’oro poté il classico paracadute: Lucia Ronzulli (Forza Italia) in Fiera Milano (dal 2015 al 2017), l’ex promotore finanziario Claudio Morganti (ex Lega Nord) area manager di Uniposte, Antonio Cancian (ex Pdl) presidente di Rete Autostrade Mediterranee. Alfredo Antoniozzi (Fi) che torna a Roma nei panni di consigliere di amministrazione di Enel. E via dicendo.