Il presidente della Commissione Affari Economici del Parlamento europeo, Roberto Gualtieri, qualche giorno fa ha consegnato una targa onorifica a Mario Draghi, governatore della Bce, asserendo, tra le altre cose, che quest’ultimo “è stato fondamentale per salvare la nostra valuta”. Gualtieri, ovviamente, parlava dell’euro e già qui ci sarebbe da discutere. In che senso “nostra”?
L’unico motivo per cui tale moneta può definirsi nostra è di carattere etimologico. Si chiama “euro” così come il continente in cui vivono gli europei si chiama Europa. Fine. Per il resto, l’euro non è una “nostra” moneta più di quanto lo fosse il Marco ai tempi in cui c’era la Lira. Allo stesso modo, la Bce non è la nostra Banca se non, di nuovo, per quella suggestiva aggettivazione (“europea”) che, accoppiata all’altro attributo (“centrale”), fa effettivamente pensare a un ente di carattere pubblico che trova la sua legittimazione in una investitura popolare. Così non è, come noto. La Bce è una sorta di entità transnazionale, extraterritoriale e fondamentalmente aliena a qualsivoglia scaturigine democratica.
Detto questo, andrebbe posto a Gualtieri un altro quesito: in che senso Draghi ha “salvato la nostra valuta”? Forse per aver garantito la stabilità dei prezzi così come da missione istituzionale e vocazione primigenia della Bce ai sensi dell’articolo 127 del Trattato di Lisbona? Anche qui non ci siamo. L’obiettivo fissato dalla Bce è quello di una inflazione al 2 per cento e viene prima di tutto, anche del benessere e della solidarietà dei popoli (leggere i trattati per credere). Obiettivo, peraltro, clamorosamente fallito da Draghi nel corso del suo mandato. Obiettivo, infine, stabilito in solitaria, in ossequio a quella autodichia che contraddistingue i signori di Francoforte: in buona sostanza, essi decidono in assoluta autonomia, indipendenza, immunità e irresponsabilità (in senso letterale) se, come, quando e quanto denaro emettere.
Allora, forse, Gualtieri si riferiva al fatto che Draghi avrebbe salvato la nostra economia? Ma, anche in questo caso, i conti non tornano e sono smentiti dai nudi dati statistici di oltre tre lustri. E non è colpa di Draghi, ma di chi ha (sotto)scritto l’articolo 123 del Trattato di Lisbona; una norma così autolesionistica – per gli Stati firmatari della stessa – da far invidia alle più torbide fantasie di Leopold von Sacher-Masoch. In pratica, essa vieta all’ente dotato della competenza monopolistica in materia monetaria di far pervenire finanziamenti ai singoli Stati dell’Unione, foss’anche attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico sui mercati primari. Il che significa aver castrato le Nazioni europee della vitale funzione di auto-finanziamento propria di ogni Paese sovrano del mondo.
Ma l’articolo 123 dice anche di più, e di peggio. Consente, cioè, alla Bce di prestare al sistema bancario liquidità a tassi risibili. In pratica, ciò che Draghi non può fare con gli Stati, se lo può tranquillamente permettere coi banchieri. Questi ultimi, poi, usano la moneta ottenuta a costo zero per indebitare gli Stati a tassi più elevati anche del trecento o quattrocento per cento. Insomma, il nostro è a capo di un modello giuridico-economico scrupolosamente concepito per conseguire un risultato ben preciso: far sì che Paesi un tempo sovrani e indipendenti finiscano sotto sistematico ricatto dello spread e sotto schiaffo perenne dei Mercati. Il che è esattamente quanto denunciato da Mario Draghi nel discorso con cui ha ringraziato Gualtieri per la targa ricevuta: “Un Paese perde sovranità quando il debito è fuori controllo, è troppo elevato, e a quel punto non sono le regole che limitano il Paese. Sono i mercati che dettano a quel paese quello che è credibile o non credibile, quello che è fattibile o non fattibile”.
In altri termini, Gualtieri avrebbe potuto – se non fosse stato troppo preso dalla solennità del momento – chiedere a Mario Draghi se, per caso, non gli fosse noto il motivo per cui i Padri Fondatori dell’Europa Unita hanno costruito un format impeccabile per finire nella trappola da cui Draghi sembra metterci in guardia. Di più: perché abbiano messo a capo della sala macchine proprio quel signore che ora – atterrato all’improvviso dopo un lunghissimo viaggio su Marte o su qualche altro pianeta periferico – si accorge degli effetti nefasti di un Marchingegno di cui la Bce è il motore atomico? Insomma, ci troviamo nel centro perfetto di una tempesta perfetta di perfetti paradossi. E il centro di quel centro è la targa premio di Gualtieri.