Seconda serata di Sanremo ed ecco di seguito il meglio e il peggio sotto il punto di vista musicale. Mi si conceda però di segnalare due momenti che mi hanno convinto particolarmente, anziché uno.
Migliori momenti: Achille Lauro; Daniele Silvestri e Rancore
Sembrerà strano, ma il brano di Achille Lauro mi ricorda il Francesco Baccini di Senza tu del 1997, in cui il cantautore genovese metteva insieme varie icone festivaliere, giustapposte per creare un mostro artificiale, come spesso risultano essere le canzoni di Sanremo. L’icona, il riconoscimento immediato, è un meccanismo immancabile delle canzoni di Sanremo. Ecco, Achille Lauro canta un brano che cita anzitutto esplicitamente una serie di artisti “maudit” del passato, poi in maniera riconoscibile il Vasco di Vita spericolata e un certo rock stile anni Ottanta, però tramite elementi del mondo trap, come l’autotune. Il tutto proprio nell’ambito del tema principale del genere trap, cioè l’ostentazione della ricchezza del titolo del brano… che poi è anche il nome di un tipo di ecstasy: ennesima citazione – e chiusura del cerchio – del Vasco di Bollicine. Pezzo riuscitissimo.
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Non posso però non citare Silvestri e Rancore. Cantano una canzone fastidiosa, perché vera. Lo dico da insegnante, prima che da critico musicale. Parla di un problema che, oggi, la scuola italiana non è pronta a risolvere. E lo fa dal palco che dà più risonanza. Necessaria.
Peggior momento: Ex-Otago
Ecco: come da scaletta, sono usciti dopo Silvestri e Rancore. Probabilmente, in quel punto chiunque ieri sera avrebbe sfigurato in quanto a necessarietà. Però gli Ex-Otago hanno dimostrato con solo una canzone di essere molto, ma molto, ma molto meno di chiunque. Innocua.
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©AndreaRaffin / KikaPress